martedì 26 dicembre 2023

Attimi d'Immenso



Graditissima fu, invece, la visita, non annunciata, fattaci il giorno di Santo Stefano da mio nonno Domenico, (in dialetto, paparanno Minguccio) padre amatissimo e dolcissimo di mamma Cristina. [...] Il nonno era un uomo di piccola statura, magro, con capelli e baffetto bianchissimi come la neve, di spiccata lealtà, onestà, dirittura morale e sicuro portatore intransigente di tre valori: famiglia, lavoro e giustizia, che ha cercato di trasmettere con l'esempio e il silenzio, ma non senza vigore, ai figli ed anche ai nipoti, sin dalla tenera età. Sul lavoro, puntuale ed intancabile, godeva della massima stima da parte dei datori di lavoro.

Fonte: Egidio Colle, Sul Filo della Memoria, Ed. Tipograf. Cortese, 2014. Pag. 120

venerdì 22 dicembre 2023

Lutto !!

Lutto


Il lutto è il sentimento di intenso dolore che si prova per la morte, in genere, di una persona cara.

Il costrutto teorico di lutto presenta rilievi di notevole rilevanza sia in ambito psicologico sia antropologico.

Nelle culture occidentali viene solitamente associato al colore nero.

Elaborazione del lutto

L'"elaborazione del lutto" consiste nel lavoro di rielaborazione emotiva dei significati, dei vissuti e dei processi sociali legati alla perdita dell'"oggetto relazionale", ovvero della persona (parente o amico) con la quale si era sviluppato un legame affettivo significativo, interrotto dal decesso della stessa.

Il processo di elaborazione del lutto, in base all'intensità del legame affettivo interrotto, alle sue modalità, e a diversi fattori protettivi o di rischio, può essere di durata e complessità variabile. Solitamente, nella sua fase acuta, viene completato entro 6-12 o anche 24 mesi in caso di perdite di figure relazionali primarie (genitori, figli, partner, fratelli/sorelle), anche se non sono infrequenti possibili sequele per periodi successivi; si deve comunque tenere conto che il processo di elaborazione è fortemente soggettivo e può durare per tempi assai variabili in base a fattori personali e situazionali.

[...]

Fonte Wikipedia

domenica 26 novembre 2023

La Storia dei trappeti oleari !!

La Storia dei trappeti oleari


Il trappeto (dal latino trapetum) è il termine utilizzato nella tradizione siciliana e meridionale per indicare un tipo tradizionale di frantoio ipogeo, originariamente destinato alla produzione di olio d'oliva.

«I trappeti sono generalmente tra noi tante grotte sotterranee scavate nel tufo, o in una specie di pietra calcarea più o meno dura detta volgarmente "leccese".»

Testimoni di un'antica arte della produzione dell'olio, tali frantoi ipogei sono parte integrante del paesaggio e dell'architettura rurale che connotano il territorio del Mezzogiorno d'Italia.

Storia

La loro costruzione avvenne dall'XI-XIII secolo sino agli inizi del XVIII secolo. Oltre al basso costo di costruzione di un trappeto, il motivo che spinse a lavorare in un opificio sotterraneo era quello di ottimizzare la conservazione del prodotto in un ambiente dalla temperatura costante: la temperatura doveva infatti essere bassa per evitare il degrado del prodotto, ma superare quella della solidificazione dell'olio, ossia i 6 °C.

Nel Salento molti trappeti furono ricavati da antichi granai di età messapica e da cripte di epoca bizantina. Secondo resoconti storici, a metà del XIX secolo nell'antica circoscrizione amministrativa della Terra d'Otranto erano presenti 1073 trappeti, mentre nel 2006 risultano censiti in tutta la Puglia 157 trappeti (4 nel barese, 7 nel brindisino, 22 nel tarantino, 124 nel leccese).

A partire del XIX secolo i trappeti vengono gradualmente sostituiti da frantoi semi-ipogei ed infine in elevato. Tuttavia ancora in epoca contemporanea la toponomastica siciliana è legata al trappeto (in siciliano trappitu) per numerose località; tra le altre, si citano il comune di Trappeto (nella città metropolitana di Palermo) e il quartiere Trappeto (Catania).

Caratteristiche

Posto circa tra i 2 e i 5 metri sotto al livello stradale, si accedeva al trappeto mediante una scala (spesso coperta con una volta a botte) che immetteva, generalmente, in un grande vano dove si trovava la vasca per la molitura con la sua grossa pietra molare posta in verticale, di calcare duro. Adiacente al grande vano erano allestiti i torchi di legno alla "calabrese" (con due viti) e alla "genovese" (ad una vite) e diverse vasche scavate nella roccia. Altri vani erano destinati a stalla, a cucina e a dormitorio degli operai. Privo di luce diretta, il trappeto veniva illuminato da varie lucerne: l'unica fonte di luce e di ricambio dell'aria proveniva da uno o due fori praticati al centro della volta del vano principale.


Fonte Wikipedia 


venerdì 17 novembre 2023

Lama Balice !

Lama Balice


Col termine lama, in Puglia, si identificano dei solchi carsici, ampi e poco profondi, che dalla Murgia nord-occidentale scendono verso l’Adriatico e corrispondenti per genesi alle più grandi e profonde gravine del versante ionico. Caratteristico delle lame è lo sbocco a mare, costituito da baie sabbiose, che si alternano alle insenature scogliose tipiche delle coste pugliesi.

La loro diffusione sul territorio regionale è piuttosto elevata: nella sola area del comune di Bari si riconoscono i tratti terminali di ben nove lame principali che si sviluppano come una sorta di ventaglio. Procedendo da nord-ovest a sud-est, si susseguono lama Balice, Lamasinata, Villa Lamberti, Picone, Fitta, Valenzano, San Marco, San Giorgio e Giotta.

Il corso di Lama Balice ha origine nelle Murge del nord barese, attraversando i territori comunali di Poggiorsini, Ruvo, Corato, Terlizzi, le frazioni bitontine di Mariotto e Palombaio, Bitonto, Palese, Modugno e Bari dove sfocia in corrispondenza del quartiere denominato Fesca.

Ha uno sviluppo complessivo di oltre 54 km su un’area di 340 Km 2.

A differenza dei fiumi, una lama cambia nome più volte lungo il suo corso. Questo accade anche per la lama Balice che nella parte alta del suo corso assume diversi nomi o toponimi (Lama Ferratela, L. Pagliata, L.Correnti, L. Caputi).

In particolare, attraversando il territorio di Bitonto, la Lama Balice acquista i seguenti toponimi:

Torrente Tiflis (o Tifris o Tifre), di origine orientale (un Tuflos si trova a Creta), a testimonianza dell’influenza che le civiltà cretese e micenea hanno avuto in Puglia e nell’Italia meridionale;

Lama Maggiore, termine ricorrente nel “Libro Rosso” di Bitonto (volume manoscritto dove sono raccolti documenti sulla storia della città);

Lama Balice, è una voce che si ritrova nel Codice Diplomatico Barese con la dizione Baligio o Baligii che significa valle;

Lama Macina o di Macina nome che, secondo lo studioso F. Virgilio (1900), deriva dall’utilizzo delle rocce affioranti per la fabbricazione di mole da frantoio (macine), grazie alla loro durezza e resistenza all’usura.

Nonostante la grande estensione della lama, è a partire dal territorio comunale di Bitonto che essa assume quelle caratteristiche che meglio la identificano.

In tale tratto, il suo andamento, orientato in direzione SW-NE e degradante verso mare, assume due configurazioni morfologiche: una meno incisa e con andamento maggiormente sinuoso e l'altra, in cui l'incisione aumenta sensibilmente, caratterizzata da ripidi costoni lungo i quali è possibile osservare la roccia calcarea stratificata. Qui, sui fianchi della lama si aprono suggestivi aggrottamenti, cavità naturali che conservano evidenti tracce dell'antica frequentazione antropica, cui si sommano numerose grotte scavate e/o ampliate dall'uomo stesso.

Molto diverso appare il tratto terminale, che canalizzato, assume un andamento rettilineo. Si tratta in realtà, di una alterazione del tracciato naturale legata allo sviluppo della città di Bari e delle numerose e sempre più imponenti infrastrutture stradali e ferroviarie. Tutto ciò compromette sensibilmente sulla funzione di drenaggio delle acque che le lama svolge.

All'interno della lama sono intervallati tratti in cui è ancora presente la vegetazione naturale, caratterizzata dalle essenze tipiche della macchia mediterranea e tratti coltivati per lo più a uliveti, vigneti e orti. Sul fondo della lama sono, infatti, presenti suoli rossi particolarmente fertili e adatti alla coltivazione. Si tratta di terreni sabbioso-argillosi (mantello colluviale), caratterizzati da un orizzonte ricco in minerali argillosi cui è legata la eccezionale fertilità. Essi derivano dall’alterazione delle rocce calcaree e dall’erosione esercitata dalle acque di pioggia che, scendendo dalle Murge verso il mare, si incanalano in questi solchi.

Le lame, infatti, oggi generalmente asciutte, hanno continuato e continuano a convogliare le acque soprattutto durante le “mene” (grandi precipitazioni di pioggia) trasportando i materiali disgregati delle Murge. Numerose sono le testimonianze di questi eccezionali eventi piovosi. Fra queste, la targa lapidea con iscrizione latina a ridosso della Chiesa di Santa Maria La Porta in Bitonto (nei pressi del ponte di S. Teresa), che ricorda un evento alluvionale cui seguì, nel 1836, il rifacimento del ponte distrutto dalla furia delle acque. Di più grande effetto, le foto che testimoniano i diversi alluvionamenti che interessarono la città di Bari all’inizio del secolo scorso (1905- 1915- 1926) e che portarono alla canalizzazione della lama Lamasinata (oggi meglio nota come canalone) e alla nascita della foresta Mercadante.

Purtroppo, eventi di tale intensità non sono solo parte della memoria del passato ma anche di una recentissima: l’evento del 23 ottobre 2005 che ha interessato la lama Lamasinata (la vicina della lama Balice), con quell’immagine del treno sospeso nel vuoto che ha fatto il giro del mondo, è ancora impressa negli occhi di molti.

La Lama è costituita in gran parte da un sistema di colture specializzate; all'interno di essa, per la presenza della depressione naturale, sopravvivono ampie tracce di un "paesaggio naturale originario"; per cui è stato possibile individuare due distinti tipi di ambienti naturali e di paesaggi: l'uno "costruito", localizzato, nel territorio pianeggiante, l'altro "spontaneo"che si estende nella depressione naturale e caratterizzato dalla presenza di specie vegetali a sviluppo spontaneo come: il carrubo, l'alloro, il rovo, il leccio, il fragno, mentre lungo i costoni, nei punti più rocciosi e aridi, crescono piante di caprifoglio, biancospino, asparago selvatico, ecc..

Non di rado possono vedersi anemoni ed esemplari di orchidee, come pure le erbe aromatiche usate in cucina come timo, menta, salvia, ruta e quelle medicinali come la borragine e la salsaparicina.

Piuttosto varia è anche la fauna. Infatti oltre a specie di animali facilmente adattabili al mutamento delle condizioni ambientali come ad esempio, la volpe, rane, ricci di terra, ospita anche animali naturalisticamente più interessanti come, ad esempio, la donnola o la faina.

L'ambiente della Lama, dunque, oltre a specie più comuni, ospita specie qualitativamente più complesse. Tra le canne si scorgono ancora le gallinelle, gli aironi, i porciglioni, i cavalieri d'Italia, le civette, il gheppio, poiana, usignolo di fiume, nibbio dalla coda forcuta, ghiandaia dal becco bruno, tordi, cinciallegre, capinere.

Sotto l'aspetto naturalistico può considerarsi una tra le aree più interessanti della Puglia, e la sua biodiversità è una ricchezza da custodire gelosamente, per le particolari piante scomparse altrove e proprie della gravina, che si sono salvate per la difficoltà di raggiungere determinati luoghi della Lama e per le condizioni naturali della stessa.

Tornando alla lama Balice, lungo il suo corso esistevano numerosi casali medievali (casale di Cammarata) e chiese anche di antica fondazione (l'Annunziata, Madonna delle Grazie, S.Maria di Costantinopoli); oggi sono ancora presenti lungo il suo corso, seppure spesso in uno stato di avanzato degrado, numerose masserie (Caggiano, Maselli – sito archeologico di recente scoperta-, Framarino, Caffariello) e torri (Pingello, del Carmine, Sant’ Egidio, San Francesco), in origine importanti centri di produzione e di controllo del territorio.

La lama costituisce quindi un ambiente di indubbio valore sia per le caratteristiche paesaggistiche, geologiche e naturalistiche ma anche che per valenza storico-archeologica e architettonica e và pertanto protetto e tutelato.


Fonte elaia, Centro di Educazione Ambientale.

sabato 28 ottobre 2023

Cattedrale nel deserto

 Cattedrale nel deserto
in valle del Basento,  Potenza


Il termine cattedrale nel deserto indica, nel linguaggio giornalistico, politico e storico-economico, una locuzione (coniata dall'uomo politico Luigi Sturzo nel 1958) per indicare grandi e costose imprese industriali (generalmente a carico dello stato) in zone considerate inadatte (nel caso specifico, in Sicilia).

Genesi storica

A partire dal 1957, infatti, il governo italiano si era spinto per nuovi incentivi finanziari per investire nel Sud. Con la Cassa del Mezzogiorno, del resto, non si erano creati, nonostante le infrastrutture, degli investimenti o dei trasferimenti di imprese. A questo punto, allora, si decise di obbligare le aziende pubbliche che rientrassero nella galassia IRI di dislocare parte dei propri investimenti (40%) al Sud per creare dei «poli di sviluppo». L’idea, detto altrimenti, era creare dei poli pubblici attorno ai quali si dovevano creare delle piccole-medie imprese dell’imprenditoria privata così da portare a compimento un tessuto industriale che assorbisse la grande disoccupazione meridionale.

In realtà, ciò non avviene: viceversa, si crearono appunto le cosiddette “cattedrali del deserto” e i benefici furono assorbiti prevalentemente dalle grandi industrie di base (petrolchimiche e siderurgiche) ad alta intensità di capitale e dunque a basso tasso di occupazione, invece che dalle industrie ad alta intensità di lavoro (es. artigianato). In questo senso, le acciaierie IRI di Taranto, le raffinerie ANIC a Gela e Valle del Basento e l’impianto chimico Montecatini a Brindisi costituiscono gli esempi più lampanti. Queste industrie, in sintesi, non ebbero alcuna ricaduta positiva in termini di occupazione e in più non produssero alcun indotto nel territorio circostante. Anzi, si stima che con la stessa cifra impiegata per creare un posto di lavoro nella raffinazione del greggio se ne sarebbero potuti creare almeno 20 in aziende agricole specializzate.

Utilizzo

Tale locuzione è stata ripresa poi e generalizzata nel linguaggio comune italiano, sempre con tono polemico, con riferimento a impianti industriali dislocati in aree depresse, senza un'adeguata previsione della funzionalità delle infrastrutture esistenti, e perciò sproporzionati, antieconomici, incapaci di dare avvio a un reale processo d'industrializzazione. Un'espressione simile ma non identica nei paesi anglosassoni è white elephant.

Fonte Wikipedia 

lunedì 25 settembre 2023

Sant' Agostino

Sant'Agostino 


Questo grande dottore della Chiesa nacque a Tagaste, (oggi in Algeria) nel 354. Ricevette la prima formazione culturale a Medaura, poi studiò a Cartagine, dove aderì al manicheismo, dottrina secondo cui il mondo è dominato da due divinità, il Bene e il Male, in perenne lotta fra loro. Dopo avere aperto una scuola a Tagaste, passò a Roma. Da lì, superata una grave malattia, salì a Milano – dove lo raggiunse la madre - per occupare una cattedra di retorica, nel 384. Qui conobbe Ambrogio, le cui spiegazioni della Scrittura lo conquistarono. A 32 anni, durante un momento di riflessione, gli parve di sentire come una cantilena che diceva: «Prendi e leggi»; aprì il libro delle lettere paoline alle parole «Comportatevi onestamente… non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze… Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rom. 13, 13). Colpito dalla grazia, dopo aver raccontato alla madre l’accaduto, si convertì dando l’addio alla sua vita disordinata e nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 387 fu battezzato da Ambrogio. Dopo un periodo trascorso a Cassiciacum (a nord di Milano) compose alcune opere apologetiche contro i manichei e, morta sua madre a Ostia, tornò in Africa col figlio Adeodato, dopo averne rinviato la mamma per consiglio di Monica. Ordinato sacerdote a Ippona nel 391, quattro anni dopo fu nominato vescovo di quella città. Nella basilica della Pace per 35 anni commentò le Scritture, amministrò la giustizia, curò i beni ecclesiastici e confutò eretici, manichei, donatisti e pelagiani. Con un regime regolato di vita comune, condiviso con alcuni del suo clero, scrisse le sue opere più note, come le Confessioni, Dottrina Cristiana, La città di Dio e La Trinità. Morì il 28 agosto del 430, mentre la città era assediata dai Vandali. Il suo corpo fu traslato in Sardegna, poi Liutprando lo portò a Pavia, dove è venerato nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro.


Sulla Morte: Pensiero di Sant'Agostino "La morte non è niente..."   


La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.  Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.  Prega, sorridi, pensami!  Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.  La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.  Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace. 


Fonte: Famiglia Cristiana 28 Agosto 2023  e Pensieri di Sant'Agostino. Foto Wikipedia

sabato 16 settembre 2023

LA BELLA 'MBRIANA lucertola portafortuna

Lucertola portafortuna

 LA BELLA 'MBRIANA lucertola portafortuna

Avete mai incrociato una farfalla più grossa e luminosa delle altre? Avete mai incrociato un Geco, quell’animaletto simile ad una lucertola che nelle sere d’estate dà la caccia agli insetti vicino alle lampade?

Queste potrebbero essere alcune delle metamorfosi della fata capricciosa di Napoli: la bella 'mbriana. La bella 'mbriana per il popolo napoletano rappresenta lo spirito della casa, un dolce angelo del focolare e portatrice di fortunati eventi, in antagonismo al monaciello ed alla janara. La derivazione etimologica proviene dal latino “meridiana”, e pertanto allude ad uno spirito che appare nelle ore più luminose del giorno, durante la cosiddetta “controra”. La bella 'mbriana è una creatura misteriosa, una presenza gentile e benevola, eterea, dall’aspetto diafano, vestita di candido tulle e lunghi capelli ondulati, che non spaventa i bambini ma neppure gli anziani. Difatti, questi ultimi, credono  che ella dimori in maniera fissa in un’abitazione posta da lei sotto la sua protezione. Ella appare solo per qualche istante. Invisibile, impalpabile ma presente, le sue vesti fluttuano dietro una tenda mosso dal vento o nel riflesso di una finestra, o in un angolo buio della casa.

La bella 'mbriana controlla e consiglia gli abitanti della casa, e pare gradisca molto l’ordine e la pulizia, motivo per il quale una casa trascurata la renderebbe irascibile. Nel passato, quando si decideva per un trasloco si cercava di parlarne fuori casa, in modo da non farle sapere nulla pur di non attirarsi le sue ire. Viene invocata in situazioni difficili che compromettono la serenità familiare, difatti è uno spirito buono, ma mai offenderla perché potrebbe provocare addirittura la morte di uno dei familiari. È una donna d’altri tempi, clemente ma severa, benevola ma rigida, tanto che un tempo si metteva a tavola un posto in più per lei, e comunque in casa doveva esserci una sedia in più per ospitarla e farla riposare in qualsiasi momento. Se tutte le sedie erano occupate, la bella 'mbriana poteva andar via con tutte le sciagure derivanti dalla mancata ospitalità. Se si ristruttura l’appartamento si può offendere, ed un proverbio a proposito recita: “casa accunciata, morte apparecchiata”. [Nel nostro caso, essa ha preceduto la ristrutturazione].

La bella 'mbriana, il monaciello e la janara erano gli argomenti principali delle sere d’inverno quando un tempo si riunivano le donne davanti al braciere (‘a vrasera) [la frascèire, nel dialetto del mio borgo] a discutere. Ma oggigiorno, il mito della bella 'mbriana è annichilito poiché nelle famiglie è prevalente egoismo, distrazione, agitazione, Internet ed i social network.

Fonte: Qualcosa di Napoli, LA BELLA 'MBRIANA - LA LUCERTOLA PORTAFORTUNA SUI MURI DELLE CASE di L. CRIMALDI, 6 APRILE 2017.


martedì 15 agosto 2023

Deposizione dalla Croce (Antelami)

Deposizione dalla Croce (Antelami)


Deposizione dalla Croce


Autore Benedetto Antelami

Data 1178

Materiale marmo rosso

Dimensioni 110×230 cm

Ubicazione Cattedrale, Parma


La Deposizione dalla Croce è una scultura marmorea (110x230 cm) di Benedetto Antelami, databile al 1178 e conservata nel transetto destro del Duomo di Parma.

Storia

L'altorilievo con la Deposizione è l'unico sopravvissuto di tre pannelli di un pontile che si trovava nella cattedrale di Parma, e oggi rappresenta la prima grande opera nota dell'Antelami, nonché un capolavoro della scultura romanica nella transizione tra le severe forme di Wiligelmo a modi più sciolti e naturalistici.

In quest'opera sono incisi il nome dell'autore e la data: ANNO MILLENO CENTENO SEPTVAGENO / OCTAVO SCVLTOR PAT(RA)VIT M(EN)SE SE(C)V(N)DO // ANTELAMI DICTVS SCVLPTOR FVIT HIC BENEDICTVS, ovvero "Nell'anno 1178 (mese di aprile) uno scultore realizzò (quest'opera); questo scultore fu Benedetto detto Antelami". Il distico concede molte licenze alla metrica e alla rima, soprattutto per l'aggiunta non prevista della precisazione del mese (mense secundo); nel calendario medievale il primo mese è marzo, pertanto l'opera fu completata nel mese di aprile, probabilmente in coincidenza con la Settimana Santa.

Descrizione

Tutta la scena è contenuta in una cornice decorata formata da viticci che si avvolgono geometricamente. Numerose iscrizioni aiutano l'osservatore a capire la scena.

L'altorilievo, basato sul solo Vangelo di Matteo, raffigura il momento nel quale il corpo di Cristo viene calato dalla croce, con vari elementi tratti dall'iconografia canonica della Crocifissione (i soldati romani che maneggiano la veste di Cristo, le personificazione dell'Ecclesia e della Sinagoga, ecc.) e della Resurrezione (le tre Marie), mentre di origine classica sono la personificazione del sole e della luna (due teste umane inserite in ghirlande) e le rosette che ornano il bordo superiore. Classico è anche l'ornato a racemi della fascia che orla la composizione, ma la tecnica orientale della niellatura e la bidimensionalità dell'ornato dimostrano che il portato antico è filtrato dalla tradizione bizantina.

Al centro della composizione la figura inerte di Cristo è piegata verso sinistra, sorretta da Giuseppe di Arimatea ("Ioseph ab Arimathia"), che secondo un'iconografia nuova gli bacia il costato. Un braccio di Gesù è sorretto amorevolmente dalla Vergine ("Sancta Maria") e dall'Arcangelo Gabriele ("Gabriel"), giunto amorevolmente in volo. Dietro stanno l'Ecclesia vincente ("Ecclesia exaltatur"), in dalmatica e alba, che tiene lo stendardo crociato sventolante e il calice col sangue di Gesù, san Giovanni ("Sanctus Iohannis") nel gesto del dolore (una mano che tiene l'altra), Maria Maddalena ("Maria Madalene"), Maria di Giacomo ("Maria Jacobi") e Maria Salomè ("Salome"). Queste ultime due fanno il gesto della testimonianza, con la mano aperta accostata al petto, come a dire che l'uomo crocifisso è veramente il Messia.

Il legno della Croce è stato tratto da un fusto verdeggiante, come fanno pensare i mozziconi di rami spezzati: è il lignum vitae, l'Albero della Vita che allude già alla Resurrezione. Lungo il braccio orizzontale si legge "Ihesus Nazarenus rex Iudeorum".

A destra Nicodemo ("Nicodemus"), su una scala, toglie il secondo chiodo. L'inclinazione di Giuseppe e Nicodemo bilancia in senso opposto quella di Cristo. Seguono la Sinagoga, personificazione del mondo ebraico, cui l'Arcangelo Raffaele ("Raphael") fa chinare il capo in segno di sconfitta: il suo stendardo è spezzato e rovesciato, con la scritta "Sinagoga deponitur"; ella ha gli occhi chiusi perché "non vede e non crede". Accanto ad essa un centurione armato di spada e di un grande scudo rotondo (dove si legge "Centurio"), seguito da cinque militi, due dei quali alzano il dito puntando Cristo; il soldato esclama "vere iste Filius Dei erat", "veramente costui era Figlio di Dio" (Mt 27, 54). Si tratta di una figura positiva, ma qui è messo nella metà negativa dell'opera. Il copricapo che indossa, simile a quello della sinagoga, lo indica come ebreo (la sua figura nella tradizione orientale e occidentale si fonde a più riprese con quella di Longino, "ebraizzato" in attuazione di una polemica antigiudaiaca avviata dal Vangelo di Giovanni, che assegnò tutta la responsabilità della morte di Cristo agli Ebrei). In primo piano infine due uomini imberbi e due barbati, seduti su sgabelli, dispiegano verso chi osserva la veste di Cristo, che è inconsutile, cioè senza cuciture: indecisi se tagliare la stoffa o meno col coltello, se la giocano intanto a dadi (Mt 27, 35-36).

Fortemente simbolica è la contrapposizione della parte destra rispetto alla sinistra: da una parte il Sole splende sulla Vergine e le Tre Marie (prefigurazione della resurrezione), e sull'Ecclesia; la Luna, al contrario, spande la sua debole luce sui soldati romani che si spartiscono la tunica di Cristo e sulla Sinagoga perdente.

Stile

La scultura risale a un periodo di transizione tra l'arte romanica e quella gotica. Il risultato nella modellazione dei corpi umani appare meno tozzo delle figure di Wiligelmo, ma la dinamica della scena è meno vivace, con le figure ferme in pose espressive. L'impressione di spazialità data dai due piani sovrapposti sui quali sono posti i soldati che tirano a sorte le vesti è il primo esempio del genere in Italia.

La rigida struttura delle figure presentate in ritmate serie verticali risente della scultura del Sud della Francia. La base della lastra di marmo, le rosette attorcigliate ornanti il bordo superiore, le personificazioni del sole e della luna (in forma di teste umane dentro ghirlande) sono elementi di origine classica come pure la fascia che orla la composizione con girali di racemi. La tecnica della niellatura e la bidimensionalità dell'ornato dimostrano che il motivo classico è filtrato attraverso il bizantinismo, da cui deriva la simmetrica disposizione delle figure e la simbolica misura delle teste, superiore alla media del reale. Provenzale è il predominio delle linee, borgognona è la punteggiatura di alcune vesti mediante bucherelli.


Fonte Wikipedia 

giovedì 10 agosto 2023

Piazza Fortinguerra

   Piazza di Puglia  Particolare della scalinata 
della Scuola Materna Pantaleo
                Dipinto di Francesco Speranza 1947                  
Fonte Primo Piano


Piazza Fortinguerra, nel cuore del borgo antico, è uno di quei luoghi che oggi vive in uno stato di oblio, anche se, in un passato remoto e assai recente, per la memoria dei viventi, è stato un centro nevralgico della città vecchia e di "Fermento Pedagogico", anche grazie all'Opera, generosa e diuturna, di un Maestro d'altri Tempi, conosciuto da sempre; avevo dodici anni e "vissuto" attraverso i suoi edificanti consigli, Temporali e Spirituali, fino al giorno della sua nascita alla Vita Eterna, il giorno 13 marzo 2022, all'età di 84 anni. 

Protagonisti del riscatto morale dell'ambiente, intorno a quella Piazza, furono il Vescovo Monsignor Aurelio Marena, il Parroco di San Giovanni Ev.sta Don Ciccio Acquafredda, Suor Beniamina e due Consorelle, il Maestro Marco con l'aiuto di Maestri volontari e con il Sindaco Saverio Granieri.

domenica 6 agosto 2023

Il Castello di santo Spirito

 Il Castello di Santo Spirito


Santo Spirito e la possente Torre Asburgica, meglio conosciuta con il toponimo "Il Castello". 

Torre Santo Spirito, antica vedetta  a difesa della cala di Santo Spirito.

Durante l’epoca cristiana furono costruite le prime torri e alcuni castelli in prossimità delle coste minacciate dalle scorrerie dei pirati saraceni che continuarono a imperversare sino alla fine del Quattrocento. Con l'editto del 1502 che decretava la definitiva cacciata dei Mori dalla Spagna, i Saraceni si unirono ai corsari Berberi del Nord Africa. Fu così che le coste del meridione d'Italia, per tutta la prima metà del Cinquecento, vennero prese d'assalto dai corsari barbareschi, disseminando distruzione e terrore tra le popolazioni locali. Intorno al 1569 la Corona di Spagna decise di intervenire con un piano di difesa che prevedeva la  realizzazione di  un sistema difensivo sul territorio ben articolato, costituito da torri di avvistamento sulle coste e un complesso radiale di torri vedetta-difensive interne. Nel 1581 Filippo II di Spagna istituì la Reale Amministrazione delle Torri per organizzare e gestire l'intero sistema difensivo costiero, provvedendo all'arruolamento dei soldati per le guarnigioni,  al rifornimento di armi e munizioni ed alla manutenzione delle torri. Quest’ultime erano suddivise in tre tipologie fondamentali che le connotavano per importanza e dimensioni. Torri da “difesa pesante”, le più imponenti, erano dotate di circa quattro cannoni di grosso calibro, due spingarde e cinque fucili, e venivano presidiate da una guarnigione composta da un capitano, da un artigliere e quattro soldati. Torri da “difesa leggera”, di media grandezza, disponevano di circa due cannoni di medio calibro, una spingarda e tre fucili ed erano presidiate da una guarnigione con un minor numero di uomini. Torri “vedette”, le  più piccole, fungevano per lo più da punto d'avvistamento e disponevano di due fucili e una spingarda per i due soldati di presidio. In tutte le torri, i torrieri, che montavano di guardia sia di giorno che di notte, avevano in dotazione un cannocchiale per gli avvistamenti lungo costa, trombe o corni marini per avvisare acusticamente le altre torri dell'imminente pericolo, e sul terrazzo cataste di legna per le segnalazioni luminose notturne. I tratti di costa in cui non c'erano torri, venivano perlustrati da ronde marine. Nella “Istoria Generale del Regno di Napoli”, di Placido Trojli, si legge:”…il Regno di Napoli per ogni intorno della parte di mare è circondata da 366 bellissime Torri, tutte quadrate, alte e forti, ed una alla veduta dell’altra fatte fabbricare dal Vicerè Don Pietro di Toledo nell’anno 1537”. In “Terra di Bari” vi era una catena di 16 torri, che andava da Torre dell'Ofanto sino a Torre Canne. Anche Santo Spirito (Sanctus Spiritus de tenimento Bitonti) era dotato di due avamposti  vedetta-difensivi sul mare ad Ovest e ad Est dell’attuale porto, denominati “Castello di Argiro” e "Torre S. Spirito". Quest’ultima, secondo lo storico V. Faglia (Contributo alla conoscenza delle torri costiere in terra di Bari, Roma 1970), fu terminata verso la fine del 1569, anno in cui fu dotata di artiglieria. L’alta torre, di pianta quadrangolare, dotata di 9 minacciose caditoie in “controscarpa” per la difesa piombante, viene menzionata nelle Carte Asburgiche (1569), in quella del Geografo Gambacorta (1598), Magini (120), Guerra (1807), Zuccagni Orlandini (1860) e con la denominazione  “Torre Maggiore” nel “Libro delle Sante Visite” (sec. XVII). Attualmente viene riportata sulle Carte dell’Istituto Geografico Militare  con la denominazione “Castello di Santo Spirito”. Nelle sue vicinanze sorgevano le famose “furche de Petro”, luogo di esecuzioni capitali, alti pilastri utilizzati per ”sospendere i ladroni e la mala gente condannata all’estremo supplizio“. Caduta in disuso nell'Ottocento fu adibita dalla comunità di Bitonto  a luogo di riposo per invalidi e, successivamente a Stazione della Guardia di Finanza. La Torre, di proprietà del demanio marittimo, ha il vincolo ambientale, è grazie a recenti lavori di restauro sta tornando al suo antico splendore.


Fonte P. Fallacara 

domenica 30 luglio 2023

Ricci di mare

Ricci di mare


Echinoidea Leske, 1778 è una classe del phylum Echinodermata che comprende gli organismi marini comunemente denominati ricci di mare.

Negli Echinoidei Regolari il corpo è sostenuto da un esoscheletro di calcite nel derma che forma una teca sferica. Esternamente la teca appare divisa in dieci settori meridiani: cinque ambulacrali, alternati da altrettanti settori inter-ambulacrali. I primi sono forellati per permettere la fuoriuscita degli organi di movimento, i pedicelli ambulacrali, i secondi invece non sono forellati e contengono le gonadi. L'esoscheletro inoltre porta annesse numerose spine con funzione difensiva.

La superficie aborale è rivolta verso l'alto e presenta centralmente l'ano circondato da dieci piastre, di cui cinque sono piccole e in corrispondenza dei setti ambulacrali, mentre le altre cinque, più grandi, sono in corrispondenza dei setti inter-ambulacrali e portano un foro per la fuoriuscita dei gameti (sono chiamate infatti anche piastre genitali). Una di queste ultime è il madreporite, riconoscibile dal fatto che ha dimensioni maggiori ed è munita di molti fori per il passaggio dell'acqua.

La superficie orale è invece rivolta verso il basso e presenta centralmente la bocca con l'organo per l'alimentazione, la lanterna di Aristotele: essa è costituita da quaranta ossicoli disposti a formare cinque piramidi con la base rivolta verso l'alto, entro ognuna delle quali è alloggiato un dente; la struttura è resa mobile da fasci muscolari che consentono l'estrazione dell'organo per raspare il terreno. Inoltre nella zona periorale sono situate le branchie. L'asse oro-aborale è quindi perpendicolare al substrato.

Il sistema acquifero è l'organo che consente il movimento sfruttando la pressione idrostatica. È composto da una serie di canali interni di origine celomatica. L'acqua entra dal madreporite, percorre il canale petroso e arriva all'anello circumesofageo; da qui si dipartono cinque canali radiali, uno per settore ambulacrale. Ad ogni canale radiale è collegata una serie di pedicelli ambulacrali che fuoriescono dalla teca tramite i forellini e che possono terminare con ventose per facilitare la locomozione.

Gli Echinoidei Irregolari hanno invece un endoscheletro cuoriforme, con asse oro-aborale spostato in obliquo. Inoltre i setti ambulacrali assumono una forma a cinque petali e vengono chiamati petaloidi. Un sottogruppo di Echinoidei Irregolari, come quelli della famiglia Clypeasteridae, ha invece la teca appiattita e vengono chiamati comunemente dollari della sabbia.

Molti elementi conducono ad una simmetria pentaraggiata (quali i cinque settori ambulacrali, i cinque canali radiali, la struttura a cinque piramidi della lanterna di Aristotele), ma essa è in realtà pseudo-pentaraggiata, dal momento che il madreporite è impari e consente di individuare un asse di simmetria bilaterale. La simmetria è invece esclusivamente bilaterale negli Echinoidei Irregolari.


Fonte Wikipedia

venerdì 28 luglio 2023

Acquedotto Pugliese

Viadotto


L'acquedotto pugliese è l'infrastruttura pubblica di approvvigionamento idrico-potabile della regione Puglia e di alcuni comuni della Campania.

Storia

Costruzione del canale principale

L'acquedotto pugliese è costituito da un complesso di infrastrutture acquedottistiche tra loro interconnesse.

La prima importante realizzazione, che tuttora rappresenta la spina dorsale dell'intero sistema acquedottistico pugliese, è il canale principale, alimentato dalle acque del Sele e, a partire dal 1970, anche da quelle del Calore.

La sua costruzione, fortemente voluta, tra gli altri, da Antonio Jatta, fu avviata nel 1906, con l'intento di risolvere il millenario problema della penuria d'acqua nella regione: già Orazio descriveva la Puglia come terra assetata: siderum insedit vapor siticulosae Apuliae (arriva alle stelle l'afa della Puglia sitibonda).

Infatti, non essendo il sottosuolo pugliese ricco di acqua facilmente estraibile, da sempre veniva adoperata l'acqua piovana raccolta in cisterne, che non garantivano quantità sufficienti e la necessaria prevenzione da epidemie.

L'opera venne caldeggiata da alcuni deputati pugliesi che ottennero la creazione dapprima di una commissione di studio cui seguì il finanziamento e l'affidamento dei lavori in concessione, a seguito di una gara internazionale.

La realizzazione dell'opera fu possibile grazie all'utilizzo di ingenti mezzi finanziari (125 milioni di lire dell'epoca) e materiali, per cui non mancò chi ebbe a pronosticare l'irrealizzabilità della stessa.

La galleria di valico dell'Appennino, da Caposele a Conza fu ultimata nell'anno 1914. Essa ha il nome di Galleria Pavoncelli. La sua lunghezza, al momento della costruzione era di 12 750 m (allora superata per lunghezza solo dal Frejus, Gottardo e Sempione). Nello stesso anno 1914 furono già alimentati con la sua acqua alcuni paesi della Puglia. Dapprima convogliò le acque del Sele; in seguito riuscì a convogliare dentro di sé anche i 2 000 L/s delle acque del Calore per una portata complessiva di 6 500 L/s.

A Bari la prima fontana fu inaugurata in Piazza Umberto I il 24 aprile 1915, pochi giorni prima dello scoppio del primo conflitto mondiale. Solo verso la fine del conflitto i lavori ripresero per completare alcuni tratti urbani, e l'acquedotto raggiunse le zone di Brindisi, Taranto, Lecce e, con la realizzazione della diramazione primaria per la Capitanata, anche Foggia.

Nel primo dopoguerra, e successivamente durante il fascismo, furono realizzati altri tronchi a servizio di zone non ancora raggiunte dall'acquedotto, costruite fontane d'approvvigionamento in ogni città e paese, costruita una fitta rete capillare di tubazioni per cercare di raggiungere ogni centro abitato. Tra i principali tronchi realizzati tra le due guerre, il principale è denominato Grande Sifone Leccese e costituisce il prolungamento del canale principale fino alla cascata monumentale di Leuca che termina nel mare, utilizzata occasionalmente come scarico terminale della grande opera acquedottistica, è realizzata ai piedi del santuario di Santa Maria di Leuca, ultima propaggine del Salento. L'opera terminale fu inaugurata poco prima dell'inizio della seconda guerra mondiale dallo stesso Benito Mussolini, che volle personalmente la costruzione della cascata monumentale. Per l'occasione, lo stesso Mussolini donò la colonna romana installata di fronte a essa a sancire la fine di una delle più grandi opere di ingegneria idraulica del mondo, come monito delle vittorie dell'uomo che col suo duro lavoro ha portato l'acqua in una terra arida, quale era la Puglia prima dell'Acquedotto.

Ai piedi della cascata monumentale, di fronte alla colonna romana, fu collocata (per imposizione del governo fascista) una lastra con incisa la sagoma della Regione Puglia e i tratti principali percorsi dall'acquedotto pugliese con una serie di dati su portata e lunghezza complessiva dell'opera. Sono stati tuttavia asportati, nel secondo dopoguerra, i simboli e i riferimenti al fascismo un tempo presenti sulla targa, essendo stata usata l'opera come un mezzo di propaganda del regime fascista.


 Fonte Wikipedia

mercoledì 26 luglio 2023

Caldo torrido

Caldo torrido


Il caldo torrido “brucia” frutta e verdura: con perdite notevoli di prodotto, fino al 90%

Si cerca di anticipare il raccolto, quando è possibile, ma le operazioni devono essere sospese nelle ore più bollenti per tutelare la salute dei lavoratori.

L'alta temperatura causata dal battere del sole inibisce il processo e provoca queste macchie biancastre, leggermente depresse. Il pomodoro scottato resta comunque commestibile, eliminando la parte danneggiata, che sarebbe sgradevole da mangiare sia come gusto che come consistenza.


Fonte Google e Orto da coltivare


lunedì 24 luglio 2023

Minosse

Minosse


Minosse giudica i dannati nell'Inferno di Dante Alighieri (illustrazione di Gustave Doré)

Professione re di Creta

Minosse (in greco antico: Mínos) è un personaggio della mitologia greca.

Genealogia

Figlio di Zeus e di Europa, come i due fratelli Sarpedonte e Radamanto fu adottato da Asterio, colui che dopo sposò la madre.

Dalla moglie Pasifae ebbe otto figli: Androgeo, Arianna, Acacallide, Catreo, Deucalione, Fedra, Glauco e Senodice; ebbe inoltre Eussantio da Dessitea, mentre dalla ninfa Paria ebbe Fiolao, Crise, Eurimedonte e Nefalione. Inoltre, Pasifae si unì con un toro che si generò dalle acque del mare, dando vita al Minotauro, creatura metà uomo e metà toro.

Mitologia

Secondo i principali miti Minosse fu un re giusto di Creta: per questo motivo, dopo la sua morte cruenta, divenne uno dei giudici degli inferi insieme a Eaco e Radamanto. Nei miti attici invece viene dipinto come estremamente tirannico e crudele.


Fonte Wikipedia 

sabato 22 luglio 2023

Empatia

 

Empatia 


«dans le phenomene d’alteration, je devien autre sans cesser d’être moi même

Nel fenomeno di alterità, io divengo altro senza cessare d'essere me stesso»

ARDOINO, Propos actuel sur l’education, Paris, Gauthier - Villars, 1967, pag. 56.

Mia Tesi di Laurea in Pedagogia, UNIBA: Educazione e Società Complessa, 4.12.1997, pag. 216

Relatore: Chiar.mo Prof. G.Russillo


L'empatia è la capacità di comprendere o sentire ciò che un'altra persona sta vivendo, cioè la capacità di "mettersi nei panni di un altro".

Secondo l'American Psychological Association, l'empatia consiste nel comprendere una persona adottando il suo punto di vista invece che il proprio (un concetto molto simile alla teoria della mente) oppure fare esperienza indiretta e spesso involontaria degli stati mentali di una persona (un concetto sviluppato dopo la scoperta dei neuroni specchio). L'empatia non implica necessariamente la spinta motivazionale oppure emotiva a prestare aiuto, sebbene la sua evoluzione in simpatia o in contagio emotivo può determinare azioni e comportamenti di soccorso e aiuto.

Le definizioni di empatia comprendono un'ampia gamma di processi sociali, cognitivi ed emotivi principalmente interessati alla comprensione degli altri (e delle emozioni degli altri in particolare). L'empatia può essere di diversi tipi: cognitiva, emotiva, fisica e spirituale.


Fonte Wikipedia


giovedì 20 luglio 2023

Poesia in terza rima

Poesia in terza rima


La terza rima, detta anche per antonomasia terzina dantesca, è la strofa principale della metrica italiana, usata e portata alla perfezione da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

Caratteristiche

Un componimento in terza rima presenta una sequenza di rime che si può schematizzare nel modo seguente:

ABA BCB CDC DED ... UVU VZV Z

Tutti i versi, tranne la prima e l'ultima coppia (AA e ZZ), rimano a tre a tre. Il numero complessivo dei versi del componimento può variare, ma se diviso per tre dà sempre il resto di 1. I gruppi di tre versi che rimano fra loro sono intrecciati l'uno con l'altro in una sequenza continua, come gli anelli di una catena: la terza rima viene quindi anche detta terzina incatenata.

La terza rima forma un'unità in sé, e contemporaneamente permette la continuità. La concatenazione delle unità è mantenuta grazie alla ripetizione della rima centrale della precedente terzina, che conferisce al testo poetico uno sviluppo pertinente e una coesione logica e ritmica. Inoltre questa concatenazione rendeva molto più ardua l'interpolazione di versi apocrifi da parte dei copisti.

La terza rima è stata usata da tutti i poeti italiani almeno fino al XIX secolo, dai Trionfi del Petrarca, alla Bassvilliana del Monti, al Foscolo, al Leopardi. Essa può anche far parte di strofe maggiori e specialmente del sonetto.

Nella forma canonica i versi sono endecasillabi.

Altre forme di terza rima

«La terza rima (o terzina incatenata, o terzina dantesca) è prima di tutto la forma metrica della Divina Commedia», ma non tutte le terze rime sono terzine dantesche.

Sono definibili terze rime anche quelle usate da Cecco d'Ascoli ne L'Acerba (a schema ABA CBC) e quelle, sempre di endecasillabi, portate in auge da Girolamo Pompei (a schema ABA CDC, col secondo verso di ogni terzina sciolto), oltreché quelle, variamente rimate, della seconda parte del sonetto.

Si possono avere anche terze rime non di endecasillabi: Giovanni Berchet nel poemetto I profughi di Parga adopera la terza rima di decasillabi.


Fonte Wikipedia

mercoledì 19 luglio 2023

L'aratro

L'aratro 

L'aratro è uno strumento usato in agricoltura fin da tempi antichi per smuovere il terreno e prepararlo per successive lavorazioni o direttamente per la semina.

L'aratro in senso storico, è una sorta di evoluzione del piccone, un tempo trainato dagli animali da soma (buoi e cavalli) per i più benestanti, mentre per i meno ricchi veniva trainato direttamente dalle persone, e oggi, nei paesi modernizzati, con trattori meccanici e motocoltivatori.

L'aratura serve per incorporare i resti della precedente coltura nel suolo, abbattere la presenza di erbe infestanti e dissodare e frammentare il terreno in previsione della successiva semina (solitamente previa esposizione agli agenti atmosferici e previe ulteriori lavorazioni con altri attrezzi) e serve per non fare male al collo all'animale.


Fonte Wikipedia

lunedì 17 luglio 2023

Bracciante

 Braccianti


Un bracciante (o bracciale) indica un operaio che presta le proprie braccia come forza lavoro in agricoltura in cambio di una retribuzione in natura o in denaro, quindi a chi lavorava la terra alle dipendenze dirette di un proprietario terriero o di chi per esso ne faceva le veci (in questo caso poteva trattarsi di un “massaro”, detto anche “massaio”).

Storia

Per chiarezza, questo mestiere (già riconosciuto dal catasto onciario del Regno di Napoli istituito nel XVIII secolo) può essere differenziato da quello del "campagnuolo", termine col quale si intendeva una persona che lavorava in proprio la terra di sua proprietà. Infatti ancora oggi in volgo comune il campagnolo è colui che lavora e ricava grazie a un proprio fazzoletto di terra, mentre bracciante è specificatamente considerato chi effettua qualsiasi tipo di lavori manuali per un periodo determinato di tempo, e che per questo sono detti “lavori stagionali”, ossia che richiedono un incremento del numero dei lavoratori per un breve periodo di tempo e che sono difatti retribuiti “a giornata” o “a settimana”, come la raccolta di frutta e cereali o per lavorazioni straordinarie da attuare in tempi ristretti. Erano molto diffusi nel XIX secolo e nella prima metà del XX, quando esisteva ancora il latifondo e non erano diffuse le macchine agricole. Oggi è diffuso largamente solo per colture che richiedono elevata manodopera (es. olivicoltura, floricoltura ecc.). Viene chiamato bracciante perché offre le proprie braccia per lavorare nei latifondi, terreni di proprietà dei latifondisti.

Italia

La legge 6 marzo 1998, n. 40 e la legge 24 dicembre 2007, n. 247 riconoscono, disciplinano e garantiscono il lavoro stagionale, ma spesso i braccianti agricoli rappresentano una porzione di lavoro fiscalmente evaso dai datori di lavoro che, per questo motivo, non possono fornire garanzie (se non sulla parola) a tutela dei diritti dei loro salariati. Nel contempo questo genere di rapporto lavorativo favorisce sia una continua e feconda mobilità dei lavoratori che un'impossibilità di attribuire agli stessi responsabilità (anche penali) che riguardino la professionalità espressa durante lo svolgimento delle attività lavorative.


Fonte Wikipedia

sabato 15 luglio 2023

Catino

Catino per la pulizia personale 
in uso negli anni 50


Il catino o bacino o bacile è un recipiente o vaso in forma rotonda e concava, basso con bordi rovesciati all'esterno. Costruito in terracotta, plastica o metallo, è destinato a contenere liquidi, comunemente usato per lavarsi.

Etimologia

Catino deriva dal latino catinus che significa ‘piatto largo’, di etimo sconosciuto, forse relitto mediterraneo affine a cadus.

Storia

Le dimensioni, la materia e la forma erano in funzione all'utilizzo specifico. Fabbricati da una lamina di bronzo lavorata a maglio, con decorazioni incise su ampi bordi di forma schiacciata, erano comuni nella produzione bronzistica etrusca. Avevano molteplici usi come vassoi, piatti di portata, ma anche come coperchi d'urne cinerarie.

Ampiamente diffusi dalla Puglia alla Gallia, erano considerati simboli di prestigio, ottenuti come dono o attraverso scambi commerciali.

Nell'antichità veniva dato questo nome a contenitori metallici che venivano arroventati ed utilizzati per abbacinare, per abbagliare.

Nel Medioevo assunsero grandi dimensioni quelli utilizzati a tavola, in quanto dovevano servire tutti i commensali. Nell'età rinascimentale ottennero grande diffusione quelli di ottone, mentre nei secoli precedenti erano in maggior numero quelli di rame e di bronzo, e in minor numero di oro e argento. Tra le espressioni artistiche più significative vi è stata la produzione spagnola di derivazione moresca, relativa soprattutto ai catini di maiolica con riflessi metallici, sbocciata nei secoli XV e XVI. Uno dei centri di produzione più importanti è stato quello di Dinant, in Francia.

Nel XVII e nel XVIII secolo sono stati prevalentemente gli inglesi a realizzare eleganti parures di bacile e brocca.


Fonte Wikipedia


giovedì 13 luglio 2023

San Valentino

San Valentino


Vescovo di Terni, vissuto nel IV sec. d.C.. E’ possibile tracciare parzialmente la sua storia grazie a due antiche fonti: un item del “Martyrologium Hieronymianum” e una passione agiografica “Passio Sancti Valentini episcopi et martiri”, dove viene narrata la storia del suo martirio (tortura e decapitazione notturna) e della sepoltura. Il Santo è venerato nel suo “dies natalis”, ovvero nel giorno della sua morte, avvenuta il 14 febbraio del 347 d.C., dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e anche dalla Chiesa anglicana. [...] Per quanto riguarda il culto di SAN VALENTINO a Bitonto, è necessario fare un piccolo preambolo. Nel 715 d.C. venne inviato da Papa Gregorio II a Bitonto, GUGLIEMO da VITERBO che fu nominato primo Vescovo della città. Secondo la cronotassi araldica dei Vescovi, preservata nella Biblioteca Vescovile, Guglielmo portò in dono alla città di Bitonto le reliquie del braccio di S. Valentino (“tulit brachium sancti Valentini”). San Valentino è infatti “ab immemorabile” titolare della Chiesa Cattedrale e patrono del Capitolo. Le reliquie del Santo sono ancora ivi conservate. Nel tempo diverse e contrastanti versioni storiografiche hanno collocato la figura del Vescovo Guglielmo in periodi precedenti o successivi a quello indicato. Sta di fatto che sulla facciata absidale della Cattedrale ritroviamo un monogramma che secondo il Rogadeo ed altri indicherebbe chiaramente il Vescovo “Domino Willemo De Tipaldis”, con una grande croce a segno di sepoltura o consacrazione. A testimonianza della devozione che a Bitonto nacque intorno alla figura del Santo Vescovo Valentino di Terni, fu costruita la chiesetta a Lui dedicata, dove venne trasferito il titolo a seguito della realizzazione della Cattedrale che venne consacrata all'Assunta. La chiesa, sita sulla via Traiana, fuori porta Robustina, venne fatta costruire nella metà del secolo XII dal giudice Maggiore, ivi sepolto assieme al figlio Valentino e Silvestro. Venne poi donata da Silvestro all'abate Pierre di Cava dei Tirreni e, secondo testimonianze, un priorato benedettino resse la chiesa almeno fino a metà del XIII secolo. In seguito la chiesa passò all'Ordine dei Cavalieri Templari e nel XVI secolo divenne proprietà del Capitolo e del clero bitontino. Il Cerrotti la ricorda con il nome di Santa Maria delle Grazie, in quanto in essa veniva trasferita l’icona della Vergine del Miglio in occasione della festività. Questi parla di “un’antichissima chiesa, sita fuori le mura della porta Robustina”, dove “anticamente i Vescovi di Bitonto per tradizione, prima di fare il loro ingresso in Diocesi, provenienti da Ruvo, si vestivano degli abiti pontificali”. La CHIESA DI SAN VALENTINO è un superbo esempio di chiesa a cupola in asse. A Bitonto architetture simili sono a corte S. Lucia, dove vi era un monastero di monache benedettine e San Egidio Vecchio in via Sedile. Quest’ultimo a tre navate con cupole in asse e semibotti laterali, secondo l'Ambrosi, rivela notevoli affinità con la chiesa di Ognissanti a Valenzano (1061). Lo schema di San Valentino è a navata unica coperta con due cupole, schema molto frequente nelle architetture religiose rurali (si veda S. Eustachio in agro di Giovinazzo). Le cupole sono ricoperte esternamente da tettoie piramidali rivestite da “chiancarelle” e impostate su tiburi quadrangolari, arretrati rispetto al perimetro della chiesa. Nella parete orientale, celata da costruzioni successive, sporge l’abside con una piccola monofora al centro. Sulla facciata principale rivolta ad occidente è situato l’antico portale a doppio arco lunato, con archivolto poggiato su due mensole laterali e un oculo (di epoca successiva) sovrastante. Si osserva in alto a destra una iscrizione a testimonianza dei restauri del 1946 eseguiti durante l’amministrazione comunale del sindaco Nicola Calamita. Sulla fiancata sud, a ridosso della Piazza si hanno due oculi, di cui uno originario, mentre sulla fiancata nord si hanno alcune tracce di epoca romanica ma anche ambienti di epoche successive così come il campanile a vela (XVI sec.). Per ultimo, come non ricordare che in questo giorno ricorre la “festa degli innamorati”. Infatti, il Santo Vescovo per caso è stato riconosciuto come protettore degli innamorati a seguito di varie leggende nonché per volontà di Papa Gelasio I che nel 496 d.C. decise di sostituire la festa pagana della Lupercalia, che ricorreva il 15 febbraio, con una festa cristiana dedicata all'amore. Per cui decise di spostare la nuova festa al giorno 14 febbraio, data in cui veniva venerato San Valentino.


Fonte: Antonio Castellano, da Bitonto, 15.2.2022

martedì 11 luglio 2023

Torrione Angioino

Torrione Angioino

Il torrione quattrocentesco di Bitonto, comunemente denominato torrione angioino ed erroneamente anche chiamato castello è la più grande e la più resistente delle ventotto torri situate lungo l'antica cinta muraria della città.

Storia

Fu innalzato, secondo taluni autori, a difesa di Porta Baresana sul finire del XIV secolo, sotto la dinastia degli Angioni da cui deriverebbe, appunto, l'attributo. Secondo altri invece, i lavori sarebbero stati avviati durante la prima metà del Quattrocento su commissione di Giovanni I Ventimiglia e Marino Correale, o Curiale al quale sarebbero riferibili gli stemmi araldici scolpiti sui due capitelli delle colonnine del camino al piano nobile (secondo piano) , generalmente considerati solo capitelli cubici a motivi geometrici. Il torrione è certamente la più ampia e più resistente di tutte le altre torri disposte lungo la cinta muraria della città. L'edificio, inoltre, è nominato in documento del 1399 attribuibile alla regina Margherita, consorte del re di Napoli Carlo III. In esso , si fa menzione di un “castellano”, addetto al controllo di una struttura difensiva non specificata che dalla metà del Quattrocento avrebbe assunto la denominazione di torrione cioè di torre difensiva (per la difesa di tipo radente) e sarebbe persino stata adibita a prigione.

[...]

Il Torrione, a seguito di un importante restauro interno, ospita una Galleria d'Arte Contemporanea.

Gli scavi effettuati, hanno permesso di recuperare le antiche casematte, (presidi aggiunti durante l'aggiornamento ossidionale intorno agli anni Novanta del Quattrocento e verosimilmente accostabili ad alcuni disegni di Francesco di Giorgio Martini), i rivellini, e il fossato, con il basamento pentagonale della torre stessa e una passerella a ponte levatoio, che collegava la torre alla piazza circostante. Il torrione era collegato, inoltre, con le altre ventisette torri tramite cunicoli sotterranei.


Fonte Wikipedia

domenica 9 luglio 2023

Porta Baresana

 

Porta Baresana

Il nome originario era "Porta della marina", perché sita in direzione della ex marina bitontina Santo Spirito. Con l'annessione di Santo Spirito nel 1928 da Bitonto a Bari, per opera del podestà di Bari (1926-1928), Araldo di Crollalanza (successivamente anche ministro dei lavori pubblici), la porta assume il nome di "Baresana" in quanto diviene la porta di accesso alla città per chi viene da Bari. Fu costruita presumibilmente nel XVI secolo. Tuttavia un secolo più tardi fu ricostruita in seguito ad un crollo o comunque ad un danneggiamento, conservando, nella facciata anteriore, uno stile rinascimentale. Sempre nella facciata esterna si nota, in cima, la statua dell'Immacolata Concezione, aggiunta nel 1834. Sulla sua base è incisa la dicitura POSUERUNT ME CUSTODEM.

Più in basso si nota invece il vano dell'orologio aggiunto nel Novecento insieme all'annessa campana nascosta dietro la statua dell'Immacolata. Agli spigoli si notano gli acroteri seicenteschi. Sotto l'orologio è presente uno stemma dei Savoia che sostituisce uno stemma della città aggiunto nel 1551 in occasione del riscatto della città dal feudatario. Lo stemma sabaudo fu apposto in luogo dello stemma della città dopo l'unificazione d'Italia. L'accesso è costituito da un arco a tutto sesto affiancato da paraste terminanti in un architrave. Su questo è stata aggiunta la copia di una predella policroma, un dipinto rappresentante i santi protettori della città. Ai lati del vano dell'orologio, si notano gli acroteri aggiunti presumibilmente nel XVII secolo.

La facciata retrostante presenta un fornice a ghiera affiancato da paraste in bugnato, similmente alla facciata esterna ma con degli zoccoli di basamento più alti. Sull'architrave si erge il timpano in cui è situato, nel mezzo, il secondo quadrante dell'orologio.


Fonte Wikipedia

sabato 8 luglio 2023

Antonio Gramsci

 La pagina di un quaderno di Antonio Gramsci


Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) è stato un politico, filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario italiano.

Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, divenendone leader dal 1924 al 1927 e ricoprendone la carica di Redattore capo o segretario dal 1924 al 26 gennaio 1926 e, dopo questa data, e fino al 1927, segretario generale del partito. Nel 1926 fu arrestato e incarcerato dal regime fascista. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica a Roma, dove trascorse gli ultimi anni di vita.

Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il concetto d'egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali alla società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, soprattutto quelle subalterne.


Fonte Wikipedia

                                                                                                                                                                    


giovedì 6 luglio 2023

Chiesa di S. Marco

Chiesa  di S. Marco


È inserita all’interno del complesso di una masseria con un maestoso frantoio detto “Pezza di San Marco” o “Trappeto del Capitolo”; l’antica masseria è stata recentemente recuperata, restaurata e trasformata in sala di ricevimento mantenendo l’originario stile rurale. La chiesa, ad aula unica, con volta a botte, presenta un’abside di piccole dimensioni in fondo e una muratura in conci appena sbozzati. Oggi appare piuttosto tozza e disadorna, ingentilita solo dal campanile a vela, aggiunto in epoca successiva (è probabile nel Settecento), in asse con il portale d’ingresso.


Fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali

Sovrintendenza Archeologia belle arti e paesaggio

per la città metropolitana di Bari


sabato 1 luglio 2023

Le origini delle giostre

Le origini delle giostre


In Italia le origini dello spettacolo viaggiante sono fatte risalire alle feste di piazza ed ai grandi mercati medievali, mentre le prime attrazioni, simili a quelle che oggi sono presenti nei luna park, derivano spesso da macchine presenti nelle esposizioni universali dell'inizio del secolo scorso. Un'interessante ricostruzione delle origini delle giostre è presente presso il Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino, sito nella provincia di Rovigo, dove tutt'oggi operano numerose industrie impegnate nel campo dei parchi divertimento.


Fonte Wikipedia

domenica 25 giugno 2023

Calanchi

Calanchi 

Cosa sono i calanchi in Basilicata?

I calanchi, geomorficamente, sono definiti come il risultato dell'erosione del terreno che si produce per l'effetto di dilavamento delle acque su rocce argillose degradate, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protette dal ruscellamento. 

Provoca, quindi, l'azione erosiva esercitata dalle acque meteoriche scorrenti disordinatamente su rocce in pendio.

Perché si chiamano calanchi?

Il termine calanchi indica quindi i solchi nel terreno lungo il fianco di un monte o di una collina che rappresentano drenaggi stretti e affilati». In sostanza, sono i solchi che si formano su certi tipi di rocce (argillose) a causa dell'azione dell'acqua nel tempo e solitamente si raggruppano in piccole valli.


Fonte Wikipedia


sabato 24 giugno 2023

Citazione

Citazione 


Il canto del gallo, un canto che da «banditore» del giorno è stato bandito dalle nostre esistenze: confesso che per me è sempre stato ed è il suono quotidiano più straordinario, più desiderato, più amato. Dopo una prima avvisaglia incerta nel cuore della notte, ecco che non appena appare all’orizzonte un po’ di chiarore, foriero dell’alba e dell’aurora, risuona sicuro il canto del gallo. È il gallo che ha da tempo immemorabile l’incarico di annunciare la luce alle cose, quasi che il suo canto imperioso ingiunga: «Fuori la luce!»


(Enzo Bianchi)

giovedì 22 giugno 2023

Arte

Paesaggio di F. Speranza  1957

L’arte che nasce dall’incanto della natura

Le vedute dedicate a Lama Balice testimoniano, insieme ai celebri scorci urbani, l'amore tenero e cristallino di Francesco Speranza per il suo paese d'origine.


Fonte Primo Piano 

giovedì 15 giugno 2023

Caprera

 Caprera

Caprera è un'isola italiana facente parte dell'arcipelago di La Maddalena, al largo della costa nord-orientale della Sardegna. Il suo territorio appartiene amministrativamente al comune de La Maddalena ed è interamente ricompreso nel Parco Nazionale dell'Arcipelago de La Maddalena, area protetta di interesse nazionale e comunitario. In particolare la zona marina di fronte all'area di Punta Rossa, estrema propaggine a sud dell'isola, è un'area a massima tutela ambientale, con cala Andreani e la spiaggia del Relitto. La dorsale orientale dell'isola è zona terrestre a protezione integrale, mentre l'area marina antistante Punta Coticcio, compresa Cala Coticcio, è protetta con provvedimenti dell'ente gestore del parco nazionale. Dal punto di vista biologico-naturalistico è significativa è la presenza di numerosi endemismi in tutta l'isola.

L'isola conta meno di 100 abitanti, per la maggior parte residenti nel borgo di Stagnali.

Il luogo ha un rilevante peso nella cultura italiana di massa in quanto fu l'ultima dimora di Giuseppe Garibaldi e il posto ove le sue ceneri riposano; la sua casa è oggi un museo a lui intitolato, di proprietà del Ministero della Cultura.


Fonte Wikipedia

martedì 6 giugno 2023

Girasole

Vincent Van Gogh immortalò i girasoli 

in una seria di dipinti ad olio su tela realizzati tra il 1888 e il 1889

Il girasole comune (Helianthus annuus L., 1753) è una pianta annuale con una grande infiorescenza a capolino appartenente alla famiglia delle Composite.

Etimologia

Il nome generico (Helianthus) deriva da due parole greche: ”helios” (= sole) e ”anthos” (= fiore) in riferimento alla tendenza della pianta a girare sempre il bocciolo verso il sole, prima della fioritura (il fiore maturo invece è sempre rivolto ad est). Questo comportamento è noto come eliotropismo.

L'epiteto specifico (annuus) indica il tipo di ciclo biologico (annuale). Anche il nome comune italiano (Girasole) richiama la rotazione dei boccioli in direzione del sole. Il termine “girasole” è anche usato per indicare le altre piante appartenenti al genere "Helianthus", molte delle quali sono perenni.

Il binomio scientifico attualmente accettato (Helianthus annuus) è stato proposto da Linneo (1707 – 1778) biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753.


Fonte Wikipedia

domenica 4 giugno 2023

Viaggio di ritorno

Viaggio di ritorno


Dalla Stazione di concentramento di Sagrado (Gorizia) il 4 giugno 1923 partì il convoglio ferroviario che riportò in Patria le Spoglie mortali di mio nonno materno Emmanuele Ruggiero morto in guerra il 26.9.1917 ed esumato dal Cimitero di Villanova di Farra. Destinazione finale la stazione ferroviaria di Santo Spirito Bitonto, come testimonia il Documento sopra riportato. L'annessione di Santo Spirito a Bari, come sua frazione, avvenne nel settembre 1928 (durante il regime fascista), per volontà dell'allora Sottosegretario al Ministero dei lavori pubblici Araldo di Crollalanza. Diventò quartiere di Bari nel 1970. Quindi, per molti secoli la località fu marina e porto commerciale di Bitonto (cioè sua frazione) e a questo status deve il suo iniziale sviluppo urbano. Non essendo il fondale della baia di Santo Spirito abbastanza profondo, Bitonto non poté che limitarsi ad utilizzarlo come porto peschereccio e turistico (o comunque per imbarcazioni di media o piccola stazza). In questi stessi secoli e soprattutto nel XIX, diversi ricchi possidenti bitontini usavano costruire ville da abitare in estate, la maggior parte di queste ville si trovano in Corso Umberto I.

Fonte : La foto del Documento di Viaggio deriva dall'indagine di Censimento dei Caduti bitontini nella grande guerra, di A. Siragusa, Eda ed, aprile 2018, pag 62

Da Wikipedia è tratta la Storia della frazione di Santo Spirito, che attualmente, insieme a Palese Macchie, Catino e San Pio, fa parte del Municipio V del capoluogo Bari. 

Storia di Sagrado

Le prime notizie di Sagrado si hanno intorno al 1130. Appartenne al Patriarcato di Aquileia, quindi alla Repubblica di Venezia dal 1420 fino al 1511, quando fu annesso ai domini asburgici, e da allora seguì le sorti della Contea Principesca di Gorizia e Gradisca. Nei pressi del confine tra i comuni di Sagrado e di Fogliano Redipuglia, lungo la SR 305, è ancora visibile un cippo che segnava il confine austroveneto. Nel 1921, dopo la prima guerra mondiale, Sagrado fu annessa al Regno d'Italia, assieme al resto della Venezia Giulia.

Geografia fisica

Il nome ha radici slovene quali Zagraj - Za gradišce (dietro la fortezza).

Il territorio comunale si estende tra la sponda sinistra del fiume Isonzo e l'altopiano carsico, fino all'estremo culmine del monte San Michele, teatro di sanguinosi ed epici scontri fra l'esercito italiano e quello austro-ungarico nel corso della prima guerra mondiale.

Storia di Villanova di Farra

Il nome Farra è di origine longobarda; infatti deriva da Fara, che in lingua longobarda indica una fortezza concessa a singole famiglie con rispettive discendenze. I Romani avevano a suo tempo una "statio" presso la quale costruirono un massiccio ponte sull'Isonzo, il "Pons Sontii", nella frazione della Mainizza per comunicare con le terre dell'est. Da questo ponte strategico passarono, per invadere l'impero, i Goti, gli Ostrogoti, i Longobardi, gli Avari, gli Unni, gli Ungari ed i Turchi.

Nel corso del medioevo l'abitato si è imperniato sostanzialmente sul locale castello che nel 967 era stato donato dall'Imperatore Ottone I di Sassonia al patriarca Rodoaldo di Aquileia che, assieme ai suoi successori, mantenne il possesso della fortificazione alla chiesa locale sino all'inizio del Duecento quando esso venne conquistato e distrutto dai conti di Gorizia. In epoche successive la città venne quindi infeudata alla famiglia Strassoldo che tra XV e XVI dovettero difenderla dall'invasione di ungari e turchi e risentì duramente anche delle guerre tra la Repubblica di Venezia e l'Austria che avevano interesse ad estendersi su quest'area strategica. Dopo la parentesi napoleonica, il paese tornò sotto il dominio austriaco e venne annesso però all'Italia solo qualche tempo dopo il termine della prima guerra mondiale, il 5 gennaio 1921 (con Legge n. 1778).


Fonte Wikipedia 


martedì 30 maggio 2023

Punto di domanda

 

Opinione


Il termine opinione (dal latino opinio, -onis; in greco antico da, dòxa) genericamente esprime la convinzione che una o più persone si formano nei confronti di specifici fatti in assenza di precisi elementi di certezza assoluta per stabilirne la sicura verità. Con l'opinione si avanza, spesso in buona fede, una versione personale o collettiva del fatto che si ritiene vero e, pur non escludendo che ci si possa ingannare, tuttavia lo si valuta come autentico sino a prova contraria.

Significato

In filosofia il concetto di opinione rimanda a due specifici significati:

ogni conoscenza o credenza che non ha in sé una garanzia di verità accertata (questo è il significato più comune che si oppone al concetto di scienza dove la validità conoscitiva è sottoposta al vaglio sperimentale);

qualsiasi asserto basato su una esperienza sensibile, immediata e contingente, che in apparenza si presenti come teoreticamente vera.

Se il primo significato si trova già accennato in Parmenide (Frammenti, 1, 29-30), il secondo si trova in Platone (Teeteto, 190 a-c) e in Aristotele (Metafisica, VII, 15, 1039b 31).

Dalla filosofia antica al pensiero moderno

Nella filosofia antica il termine opinione è reso con da un punto di domanda, intendendo con esso una conoscenza incerta opposta alla conoscenza scientifica (epstµ, epistème) più sicura.

Eraclito avverte gli uomini di usare la ragione e di non fidarsi dei sensi che generano l'opinione, una falsa visione personale della realtà:

«Pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza.»

Coloro che si affidano ai sensi sono immersi in un sonno che fa scambiare i sogni con la realtà. Gli "svegli" sanno invece che devono ricorrere a quel logos che è comune agli uomini e alle cose («Bisogna seguire ciò che è comune») permettendoci così di cogliere l'oggettività delle cose.

Riprendendo il pensiero di Eraclito, Hegel riaffermerà la sua polemica nei confronti delle "romantiche fantasticherie":

«Il sogno è la conoscenza di qualche cosa che so soltanto io; l'immaginazione e simili sono appunto sogni. Similmente il sentimento è il modo per cui qualche cosa è soltanto per me, e che io ho in me come soggetto particolare; per quanto i sentimenti siano elevati, quello che io sento è essenzialmente per me, come individuo. Invece nella verità (colta dalla ragione) l'oggetto non è immaginario, fatto oggetto soltanto da me, ma è in sé universale.»

Nel suo Poema sulla natura Parmenide sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo fisico sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'Essere. Egli narra del suo viaggio verso la dimora della dea Dike (dea della Giustizia) la quale lo condurrà al «cuore inconcusso della ben rotonda verità». La dea mostra al filosofo la via dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all'Essere (tea, tò èinai).

Vi è anche una opinione comune ritenuta plausibile come quella che viene messa in discussione dai paradossi (dal greco paa, "contro" e da, "opinione") di Zenone di Elea che dimostrano come pensare reali il divenire e la molteplicità, basati sui sensi, porti a conclusioni assurde.

Per Melisso di Samo l'opinione deve essere considerata senza distinzioni erronea poiché si basa sui sensi rivolti alla molteplicità e quindi incapaci di cogliere l'eternità e immobilità dell'essere unico rivelato dalla ragione.

Una rivalutazione dell'opinione è nei sofisti che ben sanno generarla tramite la parola che affascina e abbatte le convinzioni dell'interlocutore; nella relatività del sapere nessuno può credere di possedere la verità certa e quindi tutti siamo portatori di conoscenze opinabili.

«Non solo non esiste una verità assolutamente valida, ma l'unico metro di valutazione diviene l'individuo: per ciascuno è vera solamente la propria percezione soggettiva.»

Concorda con questa concezione il pensiero di Socrate che si differenzia però nel compito etico attribuito al dialogo inteso come ricerca in comune, e non sopraffazione sofistica, di una verità opinabile ma concordata che va rimessa sempre in discussione.

«...tra Socrate e i sofisti esiste un'affinità, nel senso che, per esprimerci schematicamente, sia l'uno che gli altri partivano da un modo di affrontare i problemi che è un modo, come si suol dire con un termine un po' tecnico, soggettivistico; cioè il criterio di verità è l'uomo, e non sono le cose. La differenza tra Socrate e i sofisti sta nel fatto che, mentre per i sofisti il criterio è l'opinione individuale - questa è la tesi di Protagora: "vero è ciò che tale sembra a ciascuno" -, Socrate cercava di andare oltre questo relativismo e questo individualismo, cercando di scoprire, di fare emergere dalle varie opinioni, dalle varie scelte, dai punti di vista, un consenso, un accordo, una homologhía, dicevano i greci antichi, che costituisse qualche cosa di più stabile, e quindi più vero e più certo, che non le semplici opinioni individuali.»

Platone conferma l'identità tra opinione e apparenza e l'opposizione tra l'opinione e la verità ricercata dal filosofo. L'opinione però non va del tutto rigettata in quanto rappresenta il primo gradino della via verso la verità. Ben diverso infatti è il possesso della verità tra l'uomo che ama le cose belle (opinione) e colui che ama la bellezza (ea, aletheia, la verità); il primo giudica la bellezza secondo il proprio gusto soggettivo tramite la sua sensibilità contingente, mentre il filosofo consegue il concetto del bello valido sempre e per tutti gli uomini. Così nel mito della caverna gli uomini incatenati rappresentano la condizione comune di coloro che scambiano le ombre (opinione) per la realtà dei concetti universali.

Nell'età medioevale la fede (pst, pistis), che era considerata da Platone come una forma dell'opinione, assume invece il valore di somma verità: «il solo bene che non è fallace e saldo è la fede in Dio.»

Il mondo sensibile viene rivalutato dal pensiero cristiano come creazione di Dio che opera sempre per il bene e quindi anche l'opinione rivolta al mondo fenomenico assume valore positivo come tale da rivelare nella natura la manifestazione di Dio.

La tesi aristotelica della validità dell'opinione come premessa alla conoscenza scientifica viene ripresa da Roberto Grossatesta che nel suo Commentario ai Secondi Analitici distingue fra opinione, intelletto e scienza considerando la prima come l'accettazione di una verità contingente, materiale e mutevole, ma pur sempre un primo grado del conoscere portato a conclusione dall'intelletto, principio della scienza, una specie di vista intellettuale (visus mentalis) che opera tramite una luce spirituale (lumen spirituale).

Nel pensiero rinascimentale con la nuova concezione della natura rivelazione dell'immanenza divina e nella filosofia dei secoli XVII e XVIII l'opinione sensibile come conoscenza delle proprietà oggettive della realtà apre la strada alla nuova scienza sperimentale che s'incaricherà da allora in poi di verificare la corrispondenza alla realtà delle opinioni.


Fonte Wikipedia