lunedì 8 febbraio 2016

Metrica Giapponese



L'Haiku, la forma di poesia giapponese più conosciuta in Occidente, si diffuse in Giappone dal XVI secolo in poi e deriva dal Tanka.
É una forma poetica che ha una struttura molto semplice: è formato da diciassette sillabe, suddivise in tre versi rispettivamente di 5-7-5 sillabe. Ciò deriva dal concetto che ogni emozione è un indivisibile e perfetto insieme che può essere espresso da poche, significative parole. L’Haiku è poesia di concentrazione.
Gli haiku seguono particolari regole di metrica e di sillabazione. Sarebbe impossibile elencarle tutte. Una delle più importanti fra queste ai fini della composizione di haiku è la sinalefe, in base alla quale vi è conteggio in una sola sillaba della vocale finale d’una parola e della vocale iniziale di quella successiva.

L'Haiku è un componimento dell’anima.  E’ come un attimo di vita che diventa verso.
In Giappone affermano che sia un vero e proprio “Poema” concentrato in soli 17 versi.
Particolare nella costruzione dell’Haiku è la “separazione” e la mancanza di collegamenti logici tra i versi al fine di creare pause.  Soggetto dell'haiku sono infatti scene rapide ed intense che rappresentano in genere la natura e le emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin (il poeta). Vi deve essere quindi sempre valenza autobiografica, in quanto il poeta rende nella scrittura dell'haiku un'emozione personale. La mancanza del soggetto, degli articoli e dei nessi evidenti tra i versi rendono ancora più intimistica e criptica la composizione lasciando spazio ad un vuoto ricco di suggestioni e di immaginazione.

Tradizionalmente l’Haiku è privo di titolo.
Per comprendere il senso degli Haiku è necessario entrare nella cultura del popolo che ha inventato l’haiku e nello spirito Zen, per cui l’uomo si realizza appieno solo integrandosi con l’ambiente in cui è inserito, per quanto ostile questo possa apparire. Il poeta non deve descrivere ciò che vede, ma essere, in quel momento, ciò che descrive. E’ dunque una poesia di meditazione e di introspezione.
La caratteristica fondamentale dell’Haiku classico è quella di fare riferimento a una delle quattro stagioni attraverso un termine, il “kigo”, che è la chiave di lettura, il punto focale del testo (riguardante la flora, la fauna, avvenimenti popolari o cibi), tutto ciò che permetta l'identificazione specifica di una stagione e quindi il collocamento temporale della composizione. In Giappone esiste lo Saijiki  ("Antologia delle Quattro Stagioni"), che raccoglie ogni tipo di kigo e la relativa descrizione.
Alternativa sovente riscontrata è quella del “piccolo kigo”, riferimento ad una parte del giorno nel suo succedersi, (aurora, alba, mattino, mezzogiorno, pomeriggio, tramonto, imbrunire, sera, notte).

Un eccellente esempio di haiku è questo del maestro Matsuo Basho (1644-1694) il maggiore esponente del genere:

Su un ramo secco
si posa un corvo
crepuscolo autunnale

In epoca moderna però all’haiku classico sono state apportate modiche fra le quali la più importante è l’omissione del kigo o piccolo kigo. In questo caso la composizione viene definita Senryu, anche se originariamente il Senryu aveva una connotazione ironica imperniata sulla natura umana. Altra forma di Senryu è l' Haikai, composizione ironico demenziale con la stessa metrica dei precedenti.

Quando invece una composizione poetica (Haiku o Senryu) è legata ad un’immagine di qualsiasi tipo (fotografia, dipinto o illustrazione) si definisce Haiga.

Il primo esempio di poesia giapponese è il choka (poesia lunga). La metrica del Choka è un succedersi di 5-7, 5-7, 5-7, sillabe con finale 7-7.
Nel Man'yoshu, La più antica collezione poetica in giapponese giunta sino a noi , vi sono circa 260 choka; il più lungo consta di 149 versi. Successivamente troviamo il Waka il cui schema poetico è composto di 31 sillabe divise in 5-7-5-7-7. Tale schema si sostituì al Choka . Fu successivamente identificato con il termine Tanka (Poesia breve)
La struttura del Tanka è composta da due ku [strofe] rispettivamente di 5+7+5 sillabe (kami no ku) Emistichio superiore di un tanka (5-7-5 sillabe). Che nel renga è chiamato hokku e di 7+7 sillabe (shimo no ku). Emistichio inferiore di un tanka (7-7 sillabe)
Il Sedoka e’ un tipo di waka con metrica 5-7-7, 5-7-7. Si trova principalmente nel Man'yoshù, "Raccolta di diecimila foglie" oppure "Raccolta di diecimila generazioni", la più antica collezione poetica in giapponese conosciuta, composta da 20 parti con 265 choka, 4.207 tanka, 62 Sedoka.
Il Renga è invece una composizione “a catena”. Il termine “Renga” in giapponese significa infatti “verso collegato”
E’ una forma poetica che si sviluppò in Giappone a partire dal XII secolo, in un primo tempo come passatempo e diventando successivamente arte seria: è generalmente una forma a più mani. Alcuni poeti (in genere tre, ma esistono casi di un unico autore) iniziavano il kami no ku (emistichio superiore, 5-7-5 sillabe), e lo shimo no ku (emistichio inferiore 7-7 sillabe), fino a formare un renga di cento ku. (si indica con ku la parte che ogni poeta compone in successione. Dato un primo verso come tema, aggiungevano versi da 14 o 21 sillabe; tali versi erano poi associati "a catena", il primo verso con la composizione precedente e l’ultimo con quello successivo. Successivamente il renga si trasformò in "haikai renga", ossia in composizioni a catena di poesie contenenti 17 sillabe. La catena poteva arrivare a comprendere anche decine di strofe. Non si trattava comunque di una concorrenza poetica ma di un dialogo fra autori.
Vediamo alcune fra le più belle composizioni di poeti giapponesi:

Il giorno irrompe -
il colore del cielo
si cambia d'abito.
(Kobayashi Issa 1763-1828)

Anche in un filo d'erba
si rifugia
la fresca
brezzolina.
(idem)

Una foglia cade.
Puah! Ne cade un'altra,
nel vento.
(Hattori Rensetsu 1654-1707)

Vento fresco:
sui campi verdi
un'ombra di nube
(Morikawa Kyooroku 1656- 1715)

Della frescura
faccio la mia casa,
e qui riposo.
(Matsuo Basho 1644-1694)

Convalescenza:
stancarsi gli occhi
contemplando le rose.
(Masaoka Shiki 1867-1902)

N.B. I primi tre haiku sono stati tradotti in italiano da L. Vittorio Arena e le successive da Elena Dal Pra; non sempre hanno potuto rispettare il numero di sillabe.

Bussokusekika   Struttura   575 777

Es:
Ricordi

Ancora  avanti
un lustro di ricordi
nell'anno nono
la festa di famiglia
un giglio nella mano
splendore ed un sorriso

 Copyright ©  Lorenzo 11.11.11


Fonte Bibliografica Wikipedia

domenica 7 febbraio 2016

Approfondimento di Metrica


Metrica classica

Metrica classica è la definizione di quel particolare insieme di regole ritmiche operanti nella versificazione e nella cosiddetta prosa ritmica della letteratura greca e latina dell'età antica, basata sul principio dell'alternanza, secondo schemi prefissati, di sillabe lunghe e brevi (metrica quantitativa).
Metrica greca e metrica latina
Nei manuali dedicati all'argomento, la metrica latina e la metrica greca sono trattate ora assieme, ora in opere separate: tale scelta deriva dal modo in cui sono concepiti i rapporti tra la metrica latina e quella greca, che grazie al suo prestigio le servì da modello. A sostegno di una divisione delle due materie, si può osservare che le convenzioni prosodiche del latino non coincidono interamente con quelle del greco, e soprattutto in età arcaica, quando il processo di acculturazione da parte dei romani della più sofisticata cultura greca era in pieno svolgimento, i modelli greci furono adattati con grande libertà dagli autori latini (per fare un esempio, il senario giambico deriva dal trimetro giambico, ma non è esattamente la stessa forma metrica); a sostegno di una trattazione d'insieme, si può osservare che la tendenza, da parte dei poeti latini più tardi (di età tardo repubblicana, augustea e imperiale) fu quella di riprendere i modelli greci in maniera fedele, tanto che moltissimi metri greci hanno il loro esatto corrispondente in latino e le due metriche vengono in buona parte a coincidere. Si prende quindi qui come punto di riferimento la metrica greca, e sulla sua scorta si considerano i metri che le due letterature condividono; per i metri invece propri al latino, si veda invece metrica latina.

La metrica come scienza: una breve storia

La maggior parte dei metri greci, se non tutti, erano già noti ed usati in età arcaica. L'ampiezza e la varietà delle forme usate, in parte conseguenza dello stretto rapporto che nell'epoca più antica esisteva tra poesia e musica, rese di necessità, con il venir meno di questa relazione, la nascita della metrica intesa come studio delle forme metriche.
Il primo metricologo di cui si ha notizia fu Damone, che ebbe Pericle come allievo; le fonti antiche ricordano anche Aristosseno di Taranto, discepolo di Aristotele, che studiò soprattutto la ritmica e, in epoca ellenistica, Filosseno.
Di questi più antichi studiosi si sa poco o nulla, maggiori notizie invece si dispongono degli studiosi di età imperiale, in particolare Eliodoro ed Efestione. Le vestigia del lavoro del primo sono stati conservati negli scoli metrici di Aristofane, mentre del secondo, autore di voluminosi trattati, è sopravvissuto il suo ???e???d??? pe?? µ?t??? (Encheiridion perì métron, manuale sui metri), che rimane il testo base per ogni studio sulla metrica antica. Altre notizie, per lo più poco originali, sono riferite dai numerosi testi dei grammatici latini; altre fonti, soprattutto per la prosa metrica, sono contenuti nei trattati di retorica, a partire da quelli di Cicerone e Quintiliano. Il trattato De musica di S. Agostino e in generale i frammenti degli antichi studiosi di musica contengono anch'essi informazioni preziose.
In epoca bizantina, anche se la conoscenza delle forme più complesse, come quelle della lirica corale, si era appannata, i grammatici continuarono a copiare, riassumere e rielaborare i testi scolastici degli autori più antichi, e si incontrano eruditi, come Demetrio Triclinio (prima metà del XIV secolo) con una conoscenza metrica sorprendente. Fu grazie a questi eruditi greci che la conoscenza metrica sopravvisse nel corso del Medioevo e, dopo la caduta di Costantinopoli, furono loro a portare queste conoscenze in Italia e da lì si diffusero nel resto d'Europa.
Nei secoli successivi, la metrica non fu trattata che incidentalmente dai filologi; Richard Bentley e Richard Porson studiarono soprattutto i versi del dialogo drammatico, mentre la conoscenza dei metri lirici restava lacunosa. Fu il tedesco Johann Gottfried Hermann, all'inizio del XIX secolo, a porre le basi della metrica moderna, partendo dalle dottrine degli antichi, e aprendo la strada a tutti gli studi successivi: pionieristici in particolare furono i suoi studi sui metri della lirica corale. La fine del XIX secolo e l'inizio del XX vide invece l'applicazione del metodo storicistico alla metrica, da parte di Ulrich von Wilamowitz-Möllendorf e di O. Schröder, che si concentrarono soprattutto sull'origine dei versi conosciuti, ricercando un ipotetico "verso primordiale" (Urvers) da cui sarebbero derivati tutti gli altri, sebbene con risultati poco incoraggianti.
Nei primi decenni del XX secolo, anche gli studi sulla prosa ritmica hanno conosciuto un momento di grande sviluppo: si ricorda, fra tutti, il classico di Eduard Norden, Die Antike Kunstprosa, (La prosa d'arte antica), 1909.

La metrica: strutture generali

Secondo la tradizione antica lo studio della metrica si divide in tre branche:
Prosodia, che si occupa della quantità delle sillabe
Metrica vera e propria, che si occupa della combinazione delle quantità sillabiche nella versificazione.
Strofica, che si occupa delle combinazioni di versi in gruppi strutturati

Metrica: glossario di base

Si riportano qui di seguito le definizioni delle entità metriche, dalla più semplice alla più complessa: i collegamenti rimandano a una trattazione più approfondita dei singoli concetti.
Mora (gr. ??????): è l'unità di misura nella prosodia classica. Secondo le convenzioni in uso già tra gli antichi, una sillaba breve vale una mora, una sillaba lunga due more.
sillaba breve: in generale, una sillaba è breve quando è aperta e contiene una vocale breve. Si veda prosodia.
sillaba lunga: o
o per natura: contiene una vocale lunga o un dittongo
o per posizione (o meglio per convenzione): contiene una vocale breve seguita da due o più consonanti.
piede (gr. p???, lat. pes): unità metrico-ritmica di base, composta da due a quattro sillabe, e lunga da due a più more.
Elementum (it. elemento): è l'unità di misura dei tempi ritmici di cui è composto un piede. Si definiscono quattro elementa alla base della metrica classica:
o Elementum breve, (simboleggiato con ?) unità di movimento corrispondente a una sillaba breve,
o Elementum longum, (simboleggiato con ??) unità di movimento corrispondente a sillaba lunga sostituibile all'occorrenza con due brevi.
o Elementum anceps, o ancipite, (simboleggiato con X) unità di movimento in cui può comparire tanto un longum quanto un breve, realizzabile dunque con una sillaba breve, una sillaba lunga o due sillabe brevi
o Elementum indifferens, (simboleggiato normalmente con il simbolo musicale della corona  , con ? o con ?), unità di movimento corrispondente a una sillaba o lunga o breve.
metro (gr. µ?t???, lat. metrum): l'unità di misura del verso, che coincide con il piede (nel caso di piedi della durata superiore alla quattro more) o a due piedi (per quelli di durata uguale o inferiore alle quattro more, ad esclusione dell'esametro e del pentametro dattilico). Nel secondo caso, si chiama sizigia (gr. s?????a) o meno chiaramente dipodia.
colon plurale cola (gr. ?????, pl. ???a) o membro: formato da alcuni piedi o sizigie secondo uno schema metrico preciso che però non ha carattere indipendente, di durata in genere non superiore alle 18 more.
verso (gr. st????, lat. versus): entità formata da più piedi o sizigie, dotato di una autonomia ritmica che lo differenzia dal colon. Può contare fino a quattro sizigie (tetrametro) trenta more. Oltre tale limite è definito ipermetro (gr. ?p??µet???, lat. hypermeter). Un verso (e così un periodo o una strofa o un sistema) è un'unità indipendente in quanto presenta le seguenti caratteristiche:
1. termina con una pausa
2. ammette iato con la sillaba iniziale del verso successivo
3. la sua sillaba conclusiva è sempre elementum indifferens, ossia può essere indifferentemente lunga o breve.
asinarteto (gr. ?s????t?t??): è un particolare tipo di verso, formato da due cola di metro differente, separati da una dieresi.
periodo (gr. pe???d??, lat. periodus/ambitus): un insieme indipendente di due o più cola, di ampiezza uguale o maggiore a quella del verso, ma senza carattere fisso.
strofe (gr. st??f?, lat. stropha): entità metrica formata da due o più versi o periodi.
sistema (gr. s?st?µa): entità metrica composta di una successione di cola dalla struttura regolare (per lo più dimetri) di uno stesso metro di una estensione considerevole.
Talvolta cola e versi possono essere allungati o abbreviati rispetto al loro schema di base. Si definisce allora:
acefalo: privo della sillaba iniziale
procefalo: allungato di una sillaba al suo inizio. Tale fenomeno è noto anche come anacrusi.
catalettico (gr. ?ata???t????): privo della sillaba finale. In metri trisillabi, come il dattilo, se le sillabe mancanti sono due, si definisce catalettico in syllabam, se la sillaba mancante è una, invece, viene detto catalettico in duas syllabas. Due cola catalettici combinati assieme formano un verso dicataletto
ipercataletto: allungato alla conclusione di una sillaba.
Altri fenomeni importanti:
iato (lat. hiatus) successione di due vocali non fuse in un dittongo e dunque appartenenti a sillabe diverse. Normalmente, le lingue classiche evitano sempre lo iato, se non a fine di verso (o periodo, o strofa).
sinafia: (gr. s???fe?a) fenomeno di continuità ritmica tra due cola, che consente a una parola di essere spezzata tra la fine di un colon e l'inizio dell'altro, o nel caso di due vocali contigue, appartenenti a due parole diverse, di essere unite in sinalefe.
anaclasi (gr. ?????as??): fenomeno in cui una sillaba breve e una lunga all'interno di un piede o di una sizigia o tra due sizigie contigue invertono la loro posizione (per esempio, un metro giambico ? — ? — può, per anaclasi, divenire un coriambo — ? ? —).
cesura (gr. ??p?, lat. caesura): incisione ritmica all'interno di un verso che divide in due parti un piede.
dieresi (gr. d?a??es??, lat. diaeresis): incisione ritmica all'interno di un verso che cade tra due piedi.
zeugma o ponte  (gr. ?e??µa, lat. zeugma): punto del verso in cui una parola non può terminare.

La recitazione di testi poetici: arsi, tesi, ictus
Il greco, lingua dall'accento melodico, non intensivo, non possedeva un accento metrico nel senso moderno della parola, perciò la recitazione o il canto di testi poetici si fondava su principi diversi da quelli attuali: non c'era propriamente il ritmo com'è inteso oggi, ma la performance si basava sull'alternanza, oltre che di sillabe brevi e lunghe, di tempi forti, in battere, e tempi deboli, in levare. Non bisogna quindi equivocare il significato di ictus metrico, usato dai grammatici romani: parlare di ictus, che cadeva sul tempo forte del piede, equivaleva a indicare non l'esistenza di un accento intensivo, ma semplicemente che il tempo forte era il "tempo del battere".
La terminologia usata per nominare il tempo forte e il tempo debole si riferisce, proprio come i nostri "battere" e "levare", alla pratica di scandire la lettura del testo con il piede o con un dito: il tempo forte si chiamava tesi (??s?? significa appunto poggiamento, il battere del piede o del dito), mentre il tempo debole si chiamava arsi, (??s?? significa innalzamento, del piede o del dito).
I grammatici romani, tuttavia, ribattezzarono arsi il tempo forte, quando si innalza la voce, e tesi il tempo debole, quando la voce si abbassa: è questa la terminologia invalsa con il tempo.
Quando, in età tardo antica, sia il greco che il latino persero la distinzione fonologica tra vocali lunghe e brevi, la comprensione dei principi della metrica classica divenne sempre più difficile e sia il greco bizantino, che il latino medioevale, assieme alle lingue romanze, svilupparono una nuova metrica, basata sull'isosillabismo, sulle posizioni degli accenti (che erano divenuti intensivi) e sulla rima.
Sempre a causa di questi mutamenti linguistici, si elaborò in ambito scolastico un sistema di lettura dei metri antichi, il cui ritmo era più percepito tramite un accento intensivo, anche quando contrario alla pronuncia corretta della parola, nel tentativo di restituire almeno una vaga impressione dell'antico ritmo, ancora insegnato nelle scuole.
Così, per fare un esempio, l'incipit dell'Eneide, che letto normalmente sarebbe
"Árma virúmque cáno, Tróiae qui prímus ab óris"
diviene
"Árma virúmque canó, Troiaé qui prímus ab óris" .
Tale sistema può essere utile per far percepire la diversità di lettura della poesia da quello della prosa nella letteratura antica, purché si tenga ben presente che mai gli antichi greci o latini lessero la loro poesia in questo modo. La percezione del sottile contrappunto che lega il decorso tonale del testo poetico e la successione ritmica delle durate sillabiche è per noi irrimediabilmente perduta.

Sonetto

Il sonetto è un breve componimento poetico, tipico soprattutto della letteratura italiana, il cui nome deriva dal provenzale "sonet"= piccolo suono, diminutivo di "son"= suono, melodia, termine che si riferiva in genere a una canzone con l'accompagnamento della musica.
Nella sua forma tipica, è composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due quartine ("fronte") a rima alternata o incrociata e in due terzine ("sirma") a rima varia.

Le origini

Si ritiene che esso sia stato inventato da Jacopo da Lentini verso la prima metà del Duecento, nell'ambito della Scuola Poetica Siciliana, sulla base di una stanza isolata di canzone, in modo che la struttura metrica formata da quattordici versi endecasillabi suddivisi in due quartine e due terzine, sia identica a quella di una stanza con fronte di due piedi e sirma di due volte senza concatenazione.

La struttura metrica

Molto vario è lo schema rimico del sonetto. Quello originario era composto da rime alterne ABAB ABAB sia nelle quartine che terzine CDC DCD, oppure con tre rime ripetute CDE CDE, o ancora con struttura ABAB ABAB CDC ECE.
Quello in vigore nel Dolce stil novo introduceva nelle quartine la rima incrociata: ABBA/ABBA, forma che in seguito ebbe la prevalenza. Il sonetto è pertanto un genere poetico che ha capacità poliedriche e risponde a funzioni diverse.
Esempio di sonetto con schema: ABBA - ABBA | CDE - EDC:
« Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi non l'ardiscan di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi non la prova:
e par che de la sua labbia si mova
uno spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira. »
(Dante Alighieri)

Varianti comuni
Le varianti metriche del sonetto sono molte:

Corona di sonetti
Si indica così quel componimento formato dall'unione di più sonetti su uno stesso argomento; nelle corone più ampie e complesse il sonetto è utilizzato come se fosse la semplice stanza di un poema.
Ci sono poi alcuni tipi particolari di "corona": quella formata da 14 o 15 sonetti dove togliendo il primo verso di ognuno si ottiene un altro sonetto ulteriore; e quella dove l'ultimo verso di ogni sonetto costituisce il primo del verso successivo. (Questo tipo di concatenazione richiama molto da vicino il rondò, componimento in cui l'ultimo verso della prima stanza è ripreso quale primo della seconda.)

il sonetto caudato
Questa variante si sviluppò nel sec. XIV, si tratta di un sonetto a cui viene aggiunta una "coda", solitamente costituita da un settenario in rima con l'ultimo verso del sonetto, e un distico di endecasillabi a rima baciata. Per ogni coda successiva alla prima il settenario rima con l'ultimo verso della coda precedente. La "coda" non ha una lunghezza definita, si va da tre versi a molte decine; quando la lunghezza si faceva esorbitante il "sonetto" era detto "sonettessa". Il sonetto caudato ha avuto successo specialmente nello stile comico-realistico, e la sua fortuna dura fin quasi ai giorni nostri.
Schema d'esempio: ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG (ecc.)
Un esempio di sonetto caudato
« Io vi mando, Edoardo, alquanti tordi,
non perché questo don sia bono o bello,
ma perché un po' del pover Machiavello
Vostra Magnificenzia si ricordi.
E se d'intorno avete alcun che mordi,
li possiate nei denti dar con ello,
acciò che, mentre mangia questo uccello,
di laniare altrui ei si discordi.
Ma voi direte: - Forse ei non faranno -
l'effetto che tu di', ch'ei non son buoni
e non son grassi: ei non ne mangeranno.
io vi risponderei a tai sermoni,
ch'io son maghero anch'io, come lor sanno,
e spiccon pur di me di buon bocconi.
Lasci l'opinïoni
Vostra Magnificenzia, e palpi e tocchi,
e giudichi a le mani e non agli occhi. »
(N. Machiavelli)

Sonetto rinterzato
Ideato probabilmente da Guittone d'Arezzo è un sonetto in cui vengono inseriti settenari dopo i versi dispari delle quartine e il primo e il secondo verso delle terzine
Secondo lo schema: AaBAaB, AaBAaB, CcDdC, DdCcD.
Un esempio:
« O benigna, o dolce, o preziosa,
o del tutt'amorosa
madre del mio signore e donna mia,
ove fugge, o' chiama, o' sperar osa
l'alma mia bisognosa,
se tu, mia miglior madre, haila 'n obbria?
Chi, se non tu, misericordiosa,
chi saggia u poderosa,
u degna 'n farmi amore u cortesia?
Mercé, donque: non più mercé nascosa,
né paia 'n parva cosa,
ché grave 'n abondanza è carestia.
Né sanaria la mia gran piaga fera
medicina leggera.
Ma, si tutta sì fera e brutta pare,
sdegneraila sanare?
Chi gran mastro, che non gran piaga chera?
Se non miseria fusse, ove mostrare
se porea, né laudare
la pietà tua tanta e sì vera?
Conven dunque misera,
a te, Madonna, miserando orrare. »
(Guittone d'Arezzo)

Sonetto minore e sonetto minimo
Questo sonetto utilizza versi più brevi dell'endecasillabi: generalmente settenari. Se il sonetto prevede versi ancora più brevi come quinari, si chiama sonetto "minimo". Benché all'epoca della loro introduzione queste varianti avessero avuto scarso successo goderono di buona fama tra i poeti del Novecento.
Un esempio di sonetto minore:
« Il mio cuore è una rossa
macchia di sangue dove
io bagno senza posa
la penna, a dolci prove
eternamente mossa.
E la penna si muove
e la carta s'arrossa
sempre a passioni nuove.
Giorno verrà: lo so
che questo sangue ardente
a un tratto mancherà,
che la mia penna avrà
uno schianto stridente...
... e allora morirò. »
(S. Corazzini, "Il mio cuore")

Il sonetto minore in questione ha schema abab abab cde edc. I versi sono tutti settenari il 9°, l'11°, il 12° ed il 14° sono tronchi.

Sonetto continuo
In questo caso le rime delle quartine sono riprese anche dalle due terzine
Schema d'esempio: ABBA ABBA BAB ABA
« Una ricca rocca e forte manto
volesse Dio che monte ricco avesse,
che di gente nemica non temesse,
avendo un'alta torre ad ogni canto;
e fosse d'ogni ben compita quanto
core pensare e lingua dir potesse,
e quine poi lo dio d'amore stesse
con li amorosi cori in gioia e canto.
E poi vorrei che nel mezzo surgesse
un'acqua vertudiosa d'amor tanto
che lor bagnando dolce vita desse;
e perché più fedele il meo cor vanto,
vorrei che 'l gonfalon fra quei tenesse
che portan di soffrir pietoso manto. »
(Cino da Pistoia)

Sonetto misto
Sonetto di endecasillabi e settenari disposti simmetricamente, secondo lo schema aBbA , aBbA , CdC , DcD .

Sonetto doppio
Ha un settenario dopo ogni verso dispari delle quartine e dopo il secondo delle terzine: "Signor senza pietansa udit ho dire" del pisano Pucciandone Martelli.
con schema AaBAaB AaBAaB CDdC CDdC ) molto simile al sonetto rinterzato.
Un esempio: Dante Alighieri, Vita Nova
« O voi, che per la via d'Amor passate,
attendete e guardate
s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave;
e prego sol ch'audir mi sofferiate,
e poi imaginate
s'io son d'ogni tormento ostale e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,
ma per sua nobiltate,
mi pose in vita sì dolce e soave,
ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate:
«Deo, per qual dignitate
così leggiadro questi lo core have?»
Or ho perduta tutta mia baldanza,
che si movea d'amoroso tesoro;
ond'io pover dimoro,
in guisa che di dir mi ven dottanza.
Sì che volendo far come coloro
che per vergogna celan lor mancanza,
di fuor mostro allegranza,
e dentro dallo core struggo e ploro. »
(Dante, Vita nova)

Sonetto ritornellato
In auge praticamente solo nel XIII secolo; è un sonetto alla cui fine si aggiunge o un endecasillabo in rima con l'ultimo verso (detto ritornello) o una coppia di versi endecasillabi a rima baciata che non riprendono le rime del sonetto (ritornello doppio)
Esempio di uno schema: ABBA ABBA CDE DCE FF.

Altre varianti minori
Variante guittoniana

Guittone e Montandrea aggiungono al sonetto due endecasillabi AB alla fine delle due quartine a rima alternata, e due endecasillabi CD al termine delle due terzine CDC DCD.
''Schema finale: ABABABABAB CDC DCDCD.

La variazione di Montandrea
(ma pare essere anche questa opera di Guittone) si limita all'aggiunta del distico AB a fine ottava.
Schema finale:ABABABABAB CDC DCD.

Sonetto raddoppiato
Costituito da quattro quartine e quattro terzine con il conseguente raddoppiamento delle disposizioni di rime. Spesso utilizzato in forma dialogica, attribuendo via via ad ogni personaggio un distico (nelle quartine), mentre le terzine non vengono spezzate. Un sonetto raddoppiato è la tenzone di Monte Andrea " Meo sir, cangiato veggioti il talento".
Uno schema possibile: AABB AABB AABB AABB CDC CDC DCD DCD.

Sonetto incatenato
Ogni verso è legato da rima interna.

Sonetto retrogrado
Scritto in modo da poter esser letto iniziando dall'ultimo verso per finire col primo.
O più semplicemente un sonetto con schema metrico invertito in cui vengano prima le terzine e poi le quartine.
Uno schema possibile: ACA CAC DEED DEED.

Sonetto semiletterato o sonetto metrico
Quando è composto da un verso in italiano seguito da un verso in latino (dove il verso latino è spesso tratto dai poeti antichi).

Sonetto bilingue
Simile al sonetto metrico, quando si alterna tra l'italiano e un'altra lingua romanza.

Sonetto sdrucciolo
Formato da tutti versi sdruccioli.

Sonetto tronco
Formato solamente da versi tronchi.

Sonetto acrostico
Si tratta di un sonetto in cui le iniziali di ciascun verso formano una parola o una frase. Celebri sono quelli di Boiardo negli Amores, il cui esito è spesso Antonia Caprara, nome della donna amata dal poeta. Di seguito il sonetto n. 14 degli Amores:
« Arte de Amore e forze di Natura
Non fur comprese e viste in mortal velo
Tutte giamai, dapoi che terra e cielo
Ornati fòr di luce e di verdura:
Non da la prima età simplice e pura,
In cui non se sentio caldo né gielo,
A questa nostra, che dell'altrui pelo
Coperto ha il dosso e fatta è iniqua e dura,
Accolte non fòr mai più tutte quante
Prima né poi, se non in questa mia
Rara nel mondo, anci unica fenice.
Ampla beltade e summa ligiadria,
Regal aspetto e piacevol sembiante
Agiunti ha insieme questa alma felice. »
(Matteo Maria Boiardo)

Sonetto in terza rima

Navigando in rete ho scoperto  il Sonetto in terza rima
Autore dell’articolo Amato Maria Bernabei che ho conosciuto personalmente a Padova il 28 ottobre 2010  nel Cenacolo Letterario dell’Associazione Dante Alighieri, di cui faccio parte.
Critico Letterario e componente della Giuria ha pubblicato il 6 febbraio 2014 il seguente articolo:
Quando sembra che più nulla possa essere creato, che il prato abbia fatto sbocciare tutti i fiori possibili, ecco che un fiore mai visto schiude la corolla…

Così è potuta nascere una nuova forma metrica, cui è stato dato il nome di “sonetto in terza rima”.
Sonetto perché componimento di quattordici versi endecasillabi, come il più classico “parente”; “in terza rima” per il fatto che, invece di articolarsi in due quartine e due terzine variamente rimate, consta di quattro terzine dantesche e di un distico finale che trae la rima dal verso medio dell’ultima terzina.

Lo schema è il seguente:
ABA, BCB, CDC, DED, EE.
L’esito “musicale” è sicuramente molto diverso da quello che caratterizza il sonetto classico, nella cadenza, nella melodia, nel timbro.
Si riportano di seguito due esempi.

Il fiore nuovo
Quando del prato hai visto tutti i fiori
e mai diresti un altro che fiorisca,
perché non sai più veste né colori,

là dove il giorno è tempo che finisca
ed affresca al tramonto la sua scena
finché dal lato opposto inaridisca,

come da roccia nuova e chiara vena
gorgoglia e sboccia, e il raggio la dipinge,
che già non solo d’apparenza è piena,

una corolla, che la vita stringe
e che dispensa in suoni di parole,
ripercorrendo il vero mentre finge

come sorride oppure come duole,
ruotando, mentre può, da sole a sole.

Nostalgia

Come da un’ora prossima e distante
che dal petto alla mente si rinnova,
ferisce e si dilata dall’istante

il tempo che trascorso si ritrova,
dolore del ritorno, che si strugge
per ogni forma sempre in forma nuova,

che ridiscende al giorno come fugge
e ne cerca ogni vista ed ogni olfatto,
il suono, ed ogni senso che distrugge.

E il senso di un trascorrere distratto
che solo quando sa che poco resta
reclama quel che visse ancora intatto.

Ma come fosse muta è la richiesta.
E il giorno se ne va, che poi si arresta.
Amato Maria Bernabei


Mentre ho pubblicato di recente sul mio Blog  il sonetto in terza rima

Terra d'ulivi / in terza rima

Posted by: Lorenzo in Iniziativa Letteraria on 22/03/2014, 05:31


Serbano i sassi storie d'anni andati
le pietre poste ai piedi dell'ulivo
fatica ai contadini comandati

compiendo rito antico a cuor giulivo
sembrano intrecci quei fusti in abbraccio
coltivazione di suolo nativo

fine ricamo coi rami nel laccio
e quegli ulivi carichi di pace
nella preghiera stanno in catenaccio

d'ebano fibre corteccia di brace
terra s'estende da murgia a scogliera
un giorno i legni al fuoco di fornace

il culto odierno come quello ch'era
carro s'avvia per la mulattiera


© Lorenzo 22.3.14

Fonte bibliografica : Varie voci correlate di Wikipedia