sabato 22 luglio 2023

Empatia

 

Empatia 


«dans le phenomene d’alteration, je devien autre sans cesser d’être moi même

Nel fenomeno di alterità, io divengo altro senza cessare d'essere me stesso»

ARDOINO, Propos actuel sur l’education, Paris, Gauthier - Villars, 1967, pag. 56.

Mia Tesi di Laurea in Pedagogia, UNIBA: Educazione e Società Complessa, 4.12.1997, pag. 216

Relatore: Chiar.mo Prof. G.Russillo


L'empatia è la capacità di comprendere o sentire ciò che un'altra persona sta vivendo, cioè la capacità di "mettersi nei panni di un altro".

Secondo l'American Psychological Association, l'empatia consiste nel comprendere una persona adottando il suo punto di vista invece che il proprio (un concetto molto simile alla teoria della mente) oppure fare esperienza indiretta e spesso involontaria degli stati mentali di una persona (un concetto sviluppato dopo la scoperta dei neuroni specchio). L'empatia non implica necessariamente la spinta motivazionale oppure emotiva a prestare aiuto, sebbene la sua evoluzione in simpatia o in contagio emotivo può determinare azioni e comportamenti di soccorso e aiuto.

Le definizioni di empatia comprendono un'ampia gamma di processi sociali, cognitivi ed emotivi principalmente interessati alla comprensione degli altri (e delle emozioni degli altri in particolare). L'empatia può essere di diversi tipi: cognitiva, emotiva, fisica e spirituale.


Fonte Wikipedia


giovedì 20 luglio 2023

Poesia in terza rima

Poesia in terza rima


La terza rima, detta anche per antonomasia terzina dantesca, è la strofa principale della metrica italiana, usata e portata alla perfezione da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

Caratteristiche

Un componimento in terza rima presenta una sequenza di rime che si può schematizzare nel modo seguente:

ABA BCB CDC DED ... UVU VZV Z

Tutti i versi, tranne la prima e l'ultima coppia (AA e ZZ), rimano a tre a tre. Il numero complessivo dei versi del componimento può variare, ma se diviso per tre dà sempre il resto di 1. I gruppi di tre versi che rimano fra loro sono intrecciati l'uno con l'altro in una sequenza continua, come gli anelli di una catena: la terza rima viene quindi anche detta terzina incatenata.

La terza rima forma un'unità in sé, e contemporaneamente permette la continuità. La concatenazione delle unità è mantenuta grazie alla ripetizione della rima centrale della precedente terzina, che conferisce al testo poetico uno sviluppo pertinente e una coesione logica e ritmica. Inoltre questa concatenazione rendeva molto più ardua l'interpolazione di versi apocrifi da parte dei copisti.

La terza rima è stata usata da tutti i poeti italiani almeno fino al XIX secolo, dai Trionfi del Petrarca, alla Bassvilliana del Monti, al Foscolo, al Leopardi. Essa può anche far parte di strofe maggiori e specialmente del sonetto.

Nella forma canonica i versi sono endecasillabi.

Altre forme di terza rima

«La terza rima (o terzina incatenata, o terzina dantesca) è prima di tutto la forma metrica della Divina Commedia», ma non tutte le terze rime sono terzine dantesche.

Sono definibili terze rime anche quelle usate da Cecco d'Ascoli ne L'Acerba (a schema ABA CBC) e quelle, sempre di endecasillabi, portate in auge da Girolamo Pompei (a schema ABA CDC, col secondo verso di ogni terzina sciolto), oltreché quelle, variamente rimate, della seconda parte del sonetto.

Si possono avere anche terze rime non di endecasillabi: Giovanni Berchet nel poemetto I profughi di Parga adopera la terza rima di decasillabi.


Fonte Wikipedia

mercoledì 19 luglio 2023

L'aratro

L'aratro 

L'aratro è uno strumento usato in agricoltura fin da tempi antichi per smuovere il terreno e prepararlo per successive lavorazioni o direttamente per la semina.

L'aratro in senso storico, è una sorta di evoluzione del piccone, un tempo trainato dagli animali da soma (buoi e cavalli) per i più benestanti, mentre per i meno ricchi veniva trainato direttamente dalle persone, e oggi, nei paesi modernizzati, con trattori meccanici e motocoltivatori.

L'aratura serve per incorporare i resti della precedente coltura nel suolo, abbattere la presenza di erbe infestanti e dissodare e frammentare il terreno in previsione della successiva semina (solitamente previa esposizione agli agenti atmosferici e previe ulteriori lavorazioni con altri attrezzi) e serve per non fare male al collo all'animale.


Fonte Wikipedia

lunedì 17 luglio 2023

Bracciante

 Braccianti


Un bracciante (o bracciale) indica un operaio che presta le proprie braccia come forza lavoro in agricoltura in cambio di una retribuzione in natura o in denaro, quindi a chi lavorava la terra alle dipendenze dirette di un proprietario terriero o di chi per esso ne faceva le veci (in questo caso poteva trattarsi di un “massaro”, detto anche “massaio”).

Storia

Per chiarezza, questo mestiere (già riconosciuto dal catasto onciario del Regno di Napoli istituito nel XVIII secolo) può essere differenziato da quello del "campagnuolo", termine col quale si intendeva una persona che lavorava in proprio la terra di sua proprietà. Infatti ancora oggi in volgo comune il campagnolo è colui che lavora e ricava grazie a un proprio fazzoletto di terra, mentre bracciante è specificatamente considerato chi effettua qualsiasi tipo di lavori manuali per un periodo determinato di tempo, e che per questo sono detti “lavori stagionali”, ossia che richiedono un incremento del numero dei lavoratori per un breve periodo di tempo e che sono difatti retribuiti “a giornata” o “a settimana”, come la raccolta di frutta e cereali o per lavorazioni straordinarie da attuare in tempi ristretti. Erano molto diffusi nel XIX secolo e nella prima metà del XX, quando esisteva ancora il latifondo e non erano diffuse le macchine agricole. Oggi è diffuso largamente solo per colture che richiedono elevata manodopera (es. olivicoltura, floricoltura ecc.). Viene chiamato bracciante perché offre le proprie braccia per lavorare nei latifondi, terreni di proprietà dei latifondisti.

Italia

La legge 6 marzo 1998, n. 40 e la legge 24 dicembre 2007, n. 247 riconoscono, disciplinano e garantiscono il lavoro stagionale, ma spesso i braccianti agricoli rappresentano una porzione di lavoro fiscalmente evaso dai datori di lavoro che, per questo motivo, non possono fornire garanzie (se non sulla parola) a tutela dei diritti dei loro salariati. Nel contempo questo genere di rapporto lavorativo favorisce sia una continua e feconda mobilità dei lavoratori che un'impossibilità di attribuire agli stessi responsabilità (anche penali) che riguardino la professionalità espressa durante lo svolgimento delle attività lavorative.


Fonte Wikipedia