sabato 7 gennaio 2023

La raccolta delle olive !!

 

Ulivi !!

Tra i momenti più importanti della tradizione agricola pugliese c’è, sicuramente, la raccolta delle olive e la produzione dell’olio, il cosiddetto oro verde. Non si tratta solo di un semplice lavoro di campagna ma è molto di più, è un qualcosa che unisce, lega alla terra e alle persone.

L’olio extra vergine d’oliva di Puglia, ora una grande eccellenza nel mondo della gastronomia, nasconde grandi tradizioni, ma anche tanto sacrificio per poter arrivare sulla nostra tavola. Ma quali sono i passaggi che un’oliva deve percorrere per diventare olio extra vergine d'oliva? Scopriamolo insieme.

Quando raccogliere

La raccolta delle olive non inizia mai in un momento preciso ma, generalmente, i mesi più adatti sono ottobre e novembre. Durante il periodo in questione le olive si trovano allo stato erbaceo, situazione che ci permette di avere un olio ricco di antiossidanti e dalle qualità organolettiche particolari.

È consigliato anche raccogliere subito dopo l’invaiatura e il completamento della maturazione, in questo periodo il frutto si presenta con la buccia diventa viola e il risultato al palato è un olio dal gusto più dolce.

Chi, invece, decide di raccogliere a dicembre corre il rischio di avere frutti sovramaturi che rendono l’olio meno intenso, con una scarsa purezza e di qualità poco fine.

Per non sbagliare il periodo di raccolta è importante monitorare sempre gli alberi e capire, in base allo stato delle olive, quando iniziare.

I Passi necessari per fare un buona raccolta.

La raccolta delle olive inizia sempre di buon mattino, prima che faccia giorno e dopo aver caricato l’attrezzatura ci si reca in campagna. Come prima cosa è tradizione accendere un fuoco per potersi riscaldare e organizzare i contadini.

Si entra nel vivo quando vengono stesi i panni in fibra di plastica e non più di stoffa, quindi si inizia con la scrollatura che avviene con macchinari in grado di scuotere i rami degli alberi. L’obiettivo è favorire la caduta delle olive mature direttamente sui teloni. Dopo si continua con le verghe che permettono una sorta di lavoro di fino, evitando che qualche oliva resti ancora attaccata agli alberi.

I panni, una volta pieni, vengono messi sui carrelli e rimorchi pronti per dirigersi verso il frantoio. Qui si procede alla pesata, all’eventuale vendita delle olive e viene fissata una data per la molitura. Questa operazione deve concludersi nel minor tempo possibile onde evitare che le olive inizino il naturale processo di fermentazione e che l’olio non sia più di alta qualità.

Il ruolo del frantoio

Il frantoio gioca un ruolo fondamentale quando si parla di produzione di olio. Prima di tutto deve garantire una conservazione ottimale delle olive in modo che queste arrivino integre in lavorazione ma non solo, deve essere sempre al passo con i migliori ritrovati della tecnologia che permettono di avere un olio finemente lavorato e di altissima qualità.

Nei frantoi oleari, la lavorazione viene seguita in maniera meticolosa in ogni fase, per assicurare un olio di altissima qualità grazie all’estrazione a freddo e all’estrema attenzione alle attività del frantoio. Il risultato è una spremuta di frutto adatta per soddisfare anche i palati più esigenti.

Tradizioni della raccolta

La raccolta delle olive, in passato, non era solo un lavoro ma un momento in cui religione e speranze di guadagno si univano e la socialità veniva esaltata. Durava tutta una giornata dalle prime luci dell'alba fino all'imbrunire quando i carri trainati dai muli, tornavano dai campi e si mettevano in fila, presso il frantoio, ad aspettare il loro turno, per scaricare i sacchi di olive. Oggi il tempo è diminuito notevolmente, visto che i mezzi di locomozione e di trasporto sono cambiati e non è raro vedere operai sempre più stanchi e forse più preoccupati per il futuro, però, sempre con un grande rispetto per ciò che la terra può dare.

Nella piana degli ulivi, in provincia di Bari, molti sono i paesi in cui si coltiva l'olivo; Palo del Colle, Bitetto, Toritto, per citarne alcuni, fino ai confini della Murgia; Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi, Bitonto ed altre ancora, sono città anch'esse legate all’olio e devote al culto della Madonna e da sempre si affidano a Lei per poter avere una benedizione sul raccolto annuale, specialmente nel giorno dell’Immacolata, il giorno otto dicembre, in cui ricade il momento più intenso della campagna annuale e il lavoro si ferma, per la ricorrenza della festa. 

In passato e ancora oggi, nella varie zone di Puglia, non è raro vedere le statue dei Santi Misteri, in occasione della Santa Pasqua, adornate con rami d’ulivo o con degli ulivi tra le mani. Queste immagini sono un simbolo identitario della Regione e dimostrano la stretta correlazione esistente tra religione e agricoltura.

In altre zone, in particolare verso Acquaviva delle Fonti, in passato la raccolta non era solo a favore  degli uomini, ma un momento da condividere anche con mogli e figli. Le donne, ammesse ai lavori di campagna, si occupavano dei panni in stoffa ma per allietare le faticose ore passate in campagna, erano solite intonare canti popolari.

Cosa si mangia durante la raccolta

Veniamo alla parte più golosa della raccolta perché, anche in questa circostanza,  a “dare un morso” non ci si tira mai indietro.

Attorno al classico fuoco del mattino si è soliti fare colazione con le olive dolci, chiamate olive nolche. Queste, cotte nella cenere e mangiate con il pane, aiutano i contadini ad affrontare la giornata. Altri, invece, preferiscono portarsi da casa il classico panino con la composta di companatico e, in passato, quando i più piccoli potevano accompagnare i genitori in campagna, per loro c’era pane e marmellata.

A fare compagnia in queste mattine fredde c’è sempre un fiaschetto di vino che conforta e riscalda, mantenendo vivo anche l’umore degli agricoltori. Alcuni, ancora oggi, per concludere la giornata cucinano un po’ di salsiccia, la famosa zampina, sulla brace viva e la condividono con i compagni di lavoro.



venerdì 6 gennaio 2023

Epifania !!

La Befana !!


Il 6 gennaio è il giorno dell'Epifania “che tutte le feste si porta via”. Ogni regione ha le proprie usanze e leggende, ma la figura più popolare, che meglio incarna questa ricorrenza, è la Befana. Gobba e con il naso adunco, la vecchietta “che vien di notte, con le scarpe tutte rotte” non è così bella e rassicurante come il pasciuto Babbo Natale. Eppure anche lei arriva a cavallo della sua scopa magica per portare i regali ai bambini buoni.

Dolciumi del passato

Una volta nella calza della Befana, appesa ben in vista sul camino, ci finivano per lo più frutta secca, agrumi, caramelle e biscotti. Il carbone - non quello dolce - era riservato esclusivamente a chi, durante l'anno, aveva fatto il monello. Tutti doni legati al mondo agrario proprio perché lì affondano le radici della festa della Befana: nell'antichità pre-cristiana, tra il 5 e il 6 gennaio, si celebrava la morte e la rinascita della natura. I Romani erano convinti che, nelle dodici notti che separavano il solstizio d'inverno da questa ricorrenza, fantastiche figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri.

La Befana e i Re Magi

Un'altra leggenda ricollega, invece, la Befana (il cui nome è una storpiatura di Epifania, “manifestazione”) ai Re Magi che, non riuscendo a trovare la strada per arrivare alla capanna di Betlemme, chiesero informazioni a una vecchietta. Questa si rifiutò di aiutarli, rispondendo in modo sgarbato. Pentitasi della propria azione, la donna per rimediare riempì un sacco di dolci e si mise in cammino, bussando a tutte le porte alla ricerca di Gesù e offrendo in cambio i doni che aveva portato con sé.

Perché proprio la calza?

La calza della befana nasce dall'unione di due esigenze: le calze di lana, che venivano fatte a mano dalle nonne, erano non solo degli ottimi indumenti contro il freddo ma anche dei contenitori elastici e malleabili, capaci di contenere più dolciumi possibili. Un tempo c'era anche l'usanza di mettere ben in vista delle scarpe nuove, che la Befana avrebbe potuto prendere in caso di necessità – lei ha sempre le scarpe rotte – in cambio dei doni.


giovedì 5 gennaio 2023

Pollicino !!

 La fiaba di Pollicino - Fonte Wikipedia


Pollicino (Le Petit Poucet) è una celebre fiaba di Charles Perrault, originariamente pubblicata nei I racconti di mamma l'oca nel 1697. Carlo Collodi ha tradotto la fiaba in italiano con il titolo Puccettino. Pollicino presenta molti punti in comune con la fiaba Hansel e Gretel dei fratelli Grimm.

Trama

In un villaggio, in un anno di forte miseria e carestia, un povero boscaiolo e sua moglie, non avendo più cibo per sfamare loro stessi ed i loro sette piccoli figli, tutti maschi, decidono di abbandonarli nel bosco. Il più piccolo dei fratelli, Pollicino, un bambino davvero minuscolo, avendo udito per caso la conversazione dei genitori, si riempie le tasche di sassolini bianchi. Il giorno dopo, mentre i genitori conducono i figli nel bosco con la scusa di volersi far aiutare a tagliare legna, Pollicino lascia cadere i sassolini dietro di sé; seguendo questa traccia dopo che i genitori se ne sono andati, riesce a riportare sé stesso e i fratelli a casa, dove nel mentre il padre ha ricevuto del denaro dal signore del villaggio, con cui era in credito, e con tale denaro ha comprato del cibo: felice che i figli siano tornati, li accoglie e dà loro da mangiare a sazietà. Poco tempo dopo però i soldi e le provviste finiscono, la miseria torna e la situazione si ripete, ma questa volta Pollicino ha a disposizione, per segnare il sentiero, solo le briciole del pane che gli è stato dato dalla madre, che vengono mangiate dagli uccelli.

I sette fratellini, persi nel bosco, chiedono ospitalità a una casa, della quale Pollicino aveva visto la luce arrampicandosi su un albero. Ad aprire loro la porta è una donna dall'animo buono e gentile, che però li avverte che suo marito, che in quel momento non è in casa, è un malvagio Orco che mangia i bambini. La donna ospita i sette fratellini e li nasconde, essendosi impietosita sentendo Pollicino dire che tanto sarebbero comunque morti di stenti nel bosco, quindi tanto valeva essere mangiati dall'Orco.

Quando l'Orco rientra, sente subito un inconfondibile odore di "carne fresca", scopre gli intrusi e vorrebbe ucciderli e mangiarseli subito, ma la moglie lo convince a farli fuori il giorno successivo per non sprecare la ricca cena che gli ha preparato.

In questo momento si viene a sapere che l'Orco ha sette figlie, sette orchette brutte e cattive quanto il padre, e Pollicino scopre che l'Orco ama così tanto le bambine da aver donato a ciascuna di loro una coroncina che portano sempre in testa, proprio come delle principesse. Durante la notte Pollicino, ritenendo possibile che l'Orco cambi idea, si introduce nella camera delle orchette e scambia le loro corone con i berretti dei fratelli. Le cose vanno proprio come previsto: l'Orco si sveglia con l'intento di sgozzare i bambini per avere un lavoro in meno da fare il giorno dopo e, armeggiando al buio, viene tratto in inganno dalla sostituzione delle coroncine con i berretti, quindi scambia i bambini per le proprie figlie e viceversa, finendo per decapitare le orchette.

Il mattino seguente Pollicino e i fratelli fuggono, mentre l'Orco scopre di aver ucciso le sue figlie per colpa loro e, infuriato, li insegue indossando un paio di stivali magici in suo possesso, gli stivali delle sette leghe, così chiamati per la distanza che riescono a coprire ad ogni passo. Anche questa volta, però, Pollicino dimostra tutta la sua furbizia: siccome gli stivali magici stancano molto chi li indossa, a un certo punto l'Orco crolla addormentato, e Pollicino riesce a rubargli gli stivali, che magicamente si adattano ai suoi piedi. Utilizzando gli stivali, Pollicino si reca dalla moglie dell'Orco in pochi passi e le racconta che l'Orco sarebbe stato rapito da una banda di briganti che esigono immediatamente un riscatto, sennò lo uccideranno. La donna, spaventata, gli dà tutto l'oro che possiede. Pollicino prende l'oro e insieme ai fratelli torna alla casa di famiglia. Grazie agli stivali Pollicino riesce a ottenere diversi incarichi dal re, per i quali riceve grandi compensi economici; unendo i soldi dell'Orco ai guadagni di Pollicino, finalmente, la famiglia riesce a permettersi i lussi che permettono loro di vivere felici e contenti.

mercoledì 4 gennaio 2023

Il Grillo Parlante !!

Il Grillo Parlante - Fonte Wikipedia 

Il Grillo Parlante (Jiminy Cricket), nei fumetti chiamato Grillo saggio, è un personaggio immaginario del Classico Disney Pinocchio: il grillo parla con il burattino e lo ammonisce, impersonando la voce della coscienza che cerca di orientare Pinocchio verso le scelte giuste. Il personaggio è tratto dal Grillo Parlante ideato da Carlo Collodi per il romanzo de Le avventure di Pinocchio - Storia di un burattino.

Biografia

Grillo apre il film cantando When You Wish Upon a Star, quindi racconta di come, quando ancora era un malvestito vagabondo, trovò casa dal falegname Geppetto, osservandolo creare la marionetta Pinocchio. Quella notte, su desiderio di Geppetto, la Fata Azzurra dona vita a Pinocchio, dicendogli che per diventare in carne e ossa, dovrà dimostrarsi bravo, coraggioso e disinteressato. Grillo assiste alla scena e poi si intromette nel loro discorso quando Pinocchio chiede cosa sia la coscienza e lui tenta di spiegarlo. La Fata, quindi, nomina il Grillo come coscienza della marionetta, donandogli un vestito migliore e promettendogli una spilla dorata a missione compiuta.

Il giorno dopo, Pinocchio si incammina verso la scuola e il Grillo si sveglia tardi, tuttavia incrocia il suo protetto, in compagnia del Gatto e della Volpe, che lo stanno portando al teatro di Mangiafuoco. Grillo tenta di dirgli di rifiutare l'offerta (quasi venendo schiacciato dal martello di Gatto), ma Pinocchio non lo ascolta. Grillo lo segue e assiste allo spettacolo di Mangiafuoco e Pinocchio e, non potendo negarne il successo, decide di andarsene sostenendo che "gli attori non hanno bisogno di una coscienza".

Tuttavia, quando nota la carovana di Mangiafuoco partire, Grillo decide almeno di augurargli buona fortuna, scoprendo Pinocchio in una gabbietta dove il burattinaio l'aveva rinchiuso, non volendo lasciarselo sfuggire. Dopo aver tentato di forzare la serratura, inutilmente, giunge in loro soccorso la Fata Azzurra che li libera e i due corrono a casa di Geppetto. Dopo aver fatto promettere a Pinocchio di comportarsi bene, Grillo lo sfida a chi arriva primo a casa. Nell'attimo che il Grillo lo distanzia, Pinocchio incappa di nuovo nel Gatto e la Volpe che lo conducono alla carrozza dell'Isola dei Balocchi.

Grillo si accorge della sua assenza e lo insegue. Dopo molte ore, Grillo ritrova Pinocchio nell'ormai deserto Paese dei Balocchi, in compagnia di un ragazzaccio di nome Lucignolo, che si prende gioco del grillo. Quando però Pinocchio prende le difese del ragazzo, Grillo si offende e torna al molo dell'isola, scoprendo del suo oscuro segreto: i bambini diventano asini e sono venduti al mercato nero. Grillo torna da Pinocchio e Lucignolo, che hanno iniziato a trasformarsi e, non potendo più fare nulla per il primo, Grillo e Pinocchio tentano la fuga dalla scogliera e tornano a casa.

La casa è però vuota: Geppetto non c'è. Tramite un messaggio della Fata Azzurra, i due capiscono che il falegname, nel cercare Pinocchio, è stato divorato da una feroce e gigantesca Balena. Pinocchio corre in mare a cercare la Balena, seguito dal Grillo (che inspiegabilmente riesce a respirare sott'acqua, forse grazie alla magia della Fata). Quando però trovano la Balena, Grillo rimane fuori dalla bocca del mostro, all'interno di una bottiglia e in balia dei gabbiani.

Quando la Balena apre finalmente la bocca per starnutire, Grillo riesce finalmente a entrare, solo per poi uscire di nuovo notando che Pinocchio e Geppetto stanno tentando la fuga. Grillo viene poi ignorato durante lo scontro contro la Balena, finendo arenato sulla spiaggia dove è il primo a rinvenire il corpo inerme di Pinocchio. Tuttavia, essendosi dimostrato buono, coraggioso e disinteressato, Pinocchio diventa umano e il Grillo viene premiato con la promessa spilletta.

Nella versione originale è doppiato da Cliff Edwards, in quella italiana da Carlo Romano e Riccardo Billi.


Fonte Wikipedia


martedì 3 gennaio 2023

Diritto di Primogenitura !!

 

Diritto di Primogenitura ! Re Clodoveo detta la Legge Salica.


La condizione di chi tra più figli, è nato per primo; per estensione, l’insieme dei diritti, dei beni e dei privilegi che spettavano al primo nato.

Istituto del diritto successorio medievale, in base al quale il feudo era considerato indivisibile e poteva essere trasmesso solo al primogenito maschio, concedendosi agli altri discendenti benefici minori o semplici prebende. Comparve dapprima in Inghilterra e Francia; in Italia fu importato dai Normanni e disciplinato dalla legge salica.

Il diritto successorio nella Lex Salica

Nei tempi moderni la Lex Salica è ricordata soprattutto per le conseguenze che ha avuto in alcune dispute sulla discendenza delle famiglie reali. Il titolo 59.5 recita infatti:

«De terra vero nulla (salica) in muliere hereditas non pertinebit, sed ad virilem sexum qui fratres fuerint tota terra pertineat.»

«Nessuna terra (salica) può essere ereditata da una donna, ma tutta la terra spetta ai maschi, che siano fratelli della donna.»

(Lex Salica)

In sostanza prevede che le figlie non possano ereditare "le terre saliche" (ma non sono escluse da altri beni, compresi territori non appartenenti a quella regione). Tale disposizione, in alcuni casi anche dopo essere stata dimenticata per secoli, fu utilizzata anacronisticamente durante dispute per varie successioni al trono, a partire dal XIV secolo, come argomento contrario alla discendenza femminile nelle case regnanti.

Applicazioni della legge salica

Nell’Antico Testamento la primogenitura costituisce un diritto di precedenza e di preminenza. Il primogenito animale deve essere offerto al sacerdote; quello umano (ebr. bekhor) deve essere riscattato con una somma di denaro; riceve una quota doppia dell’eredità e succede al padre nelle funzioni di capofamiglia. Nella Genesi, il racconto di Esaù e Giacobbe mostra che il diritto di primogenitura poteva essere trasferito da un fratello all’altro: ma quest’uso non è attestato in seguito. In Palestina gli Ebrei trovarono il costume di sacrificare i primogeniti in particolari gravi circostanze, come atto di omaggio alle divinità; e condannarono severamente questo rito.

Esaù

Esaù (ebr. ‘Esaw) Nella Bibbia, figlio di Isacco e Rebecca, gemello primogenito di Giacobbe. La Genesi (25, 22 segg.) narra che, rientrato affamato dalla campagna, Esau fu costretto dal fratello a vendergli la primogenitura per un piatto di lenticchie. 


Fonte: Enciclopedia Treccani e Wikipedia

lunedì 2 gennaio 2023

Via Appia Traiana

Via Appia Traiana


La via Traiana (nota anche come via Appia Traiana) fu una strada romana di epoca imperiale che collegava Benevento (Beneventum) a Brindisi (Brundisium).

Costruita tra il 108 e il 110 d.C. per volontà dell'imperatore Traiano, la strada costituì una valida alternativa alla via Appia Antica rimanendo in uso fino a tutto il medioevo e, limitatamente al tratto appenninico, anche in epoca moderna.

Tratto pugliese

Al valico di San Vito (in territorio di Faeto) la strada toccava la massima altitudine (947 m s.l.m.). Il valico è sovrastato da un'altura isolata, il Castiglione, che ebbe sempre grande rilevanza strategica. Più oltre la strada incontrava un ultimo ostacolo, l'aspra dorsale dei monti della Daunia, che veniva superata mediante un passaggio assai angusto (forse ottenuto artificialmente), il cosiddetto Buccolo. Da qui la via scendeva quindi ripida verso Aecae, l'attuale Troia, per poi abbandonare il tracciato rettilineo del tratturello Camporeale-Foggia dirigendosi invece verso Herdonia, al centro del Tavoliere delle Puglie, dopo aver superato il fiume Cervaro con un lungo ponte (le cui rovine emergono presso la masseria Ponte Rotto).

Da Herdonia la strada proseguiva verso Canusium (Canosa), Rubi (Ruvo) e Butuntum (Bitonto) per poi continuare tramite due diversi tracciati:

Tratto della via Appia-Traiana alla periferia sud di Monopoli, tra Neapolis ed Egnatia

la "via Appia-Traiana" lungo la costa che toccava Barium (Bari), Neapolis (presso Polignano a Mare) ed Egnatia (a nord-est di Fasano);

la "via Minucia Traiana", più antica e interna, che passava per Midunium (Modugno), Caelia (Ceglie del Campo), Capursi (Capurso), Noa (Noicattaro), Azetium (Rutigliano) e Norba (Conversano), per poi riunirsi alla costiera nei pressi di Egnazia.

La strada proseguiva poi per terminare a Brindisi.

Se ne ritrovano, casualmente, alcuni tratti lastricati nelle campagne pugliesi (ad esempio a Monopoli); a Bari, Trani, Giovinazzo e Ascoli Satriano sono conservate le colonne miliari che ne segnavano l'attraversamento (quelle di Bari, Trani e Giovinazzo furono precedentemente traslate). In seguito fu costruito un prolungamento: la via Traiana Calabra, che giungeva sino a Otranto.


Fonte Wikipedia 


domenica 1 gennaio 2023

Pace !!



Radiomessaggio di Giovanni XXIII per l'intesa e la concordia tra i popoli.


Erano le ore 12:00 del 25 ottobre 1965 quando venne diffuso il Radiomessaggio per l'intesa e la concordia tra i popoli pronunciato da Papa Giovanni XXIII ai microfoni di Radio Vaticana. Si rivolse ai governanti della terra e "a tutti gli uomini di buona volontà" per scongiurare il pericolo di guerra atomica, conseguente alla crisi di Cuba tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il messaggio era stato già consegnato, poche ore prima, all'ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede e ai rappresentanti dell'Unione Sovietica accreditati presso il governo italiano. Pochi giorni prima dell'intervento radiofonico, il mondo sembrava essere precipitato nel baratro di un conflitto nucleare. Il 22 ottobre il Presidente degli Stati Uniti d'America, John F. Kennedy, aveva annunciato alla nazione la presenza di installazioni missilistiche a Cuba e l'avvicinamento all'isola di alcune navi sovietiche con a bordo le testate nucleari per l'armamento dei missili. Il presidente statunitense aveva immediatamente imposto il blocco navale militare a 800 miglia dall'isola, ordinando agli equipaggi di essere pronti ad ogni eventualità, ma le navi sovietiche sembravano intenzionate a forzare il blocco. Di fronte alla drammaticità della situazione, Giovanni XXIII sentì la necessità di agire per la pace, rivolgendo un discorso alle parti interessate e all'umanità, per scongiurare l'imminente pericolo di guerra: Signore, ascolta la supplica del tuo servo, la supplica dei tuoi servi, che temono il tuo nome. Questa antica preghiera biblica sale oggi alle nostre labbra tremanti dal profondo del nostro cuore ammutolito e afflitto. Mentre si apre il Concilio Vaticano II, nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente l'orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie. La Chiesa e noi lo affermavamo accogliendo le ottantasei missioni straordinarie presenti all'apertura del Concilio, la Chiesa non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e lavora, affinché questi obbiettivi si realizzino. Noi ricordiamo a questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! pace!. Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell'umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze. Che continuino a trattare, perché questa attitudine leale e aperta è una grande testimonianza per la coscienza di ognuno e davanti alla storia. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra. Che tutti i nostri figli, che tutti coloro che sono segnati dal sigillo del battesimo e nutriti dalla speranza cristiana, infine che tutti coloro che sono uniti a noi per la fede in Dio, uniscano le loro preghiere alla nostra per ottenere dal cielo il dono della pace: di una pace che non sarà vera e duratura se non si baserà sulla giustizia e l'uguaglianza. Che a tutti gli artigiani di questa pace, a tutti coloro che con cuore sincero lavorano per il vero bene degli uomini, vada la grande benedizione che Noi accordiamo loro con amore al nome di Colui che ha voluto essere chiamato Principe della pace.


Fonte: Santuario Sotto il Monte Giovanni XXIII